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Gli Stati Uniti erano l’unico paese che, pur avendo combattuto la prima guerra mondiale, non aveva registrato un deficit economico al termine del conflitto. Infatti gli Stati Uniti erano i maggiori creditori di tutti i paesi d’Europa tanto che nel corso del primo dopoguerra si trovarono a recuperare progressivamente il denaro prestato ai paesi belligeranti oltreoceano. Ma forse proprio quell’ingente flusso di denaro che contribuì a far esplodere la più grande crisi economica del Novecento, una crisi destinata ad avere ripercussioni sull’economia mondiale.

Per comprendere le cause della crisi occorre considerare l’andamento dell’economia statunitense negli anni Venti. 

Quello vissuto dagli USA era stato un boom economico senza precedenti: tra il 1922 e il 1929 il reddito nazionale era cresciuto in modo importante:

Reddito nazionale+ 4% all’anno
Produzione+ 64%
Profitti+ 76%
Produttività del lavoro + 43%
Salari + 30%

Nel marzo del 1929, poco prima del grande crollo, il presidente repubblicano Calvin Coolidge aveva affermato: 

“Noi in America siamo più vicini al trionfo finale sulla miseria di quanto lo siamo mai stati nella storia di questa terra.
Quella che si prospetta al mondo di oggi è la più grande epoca di espansione commerciale della storia.”

Queste  parole però furono disilluse pochi mesi dopo quando con il 24 ottobre 1929 inizia una recessione destinata a concludersi solo con la Seconda Guerra Mondiale. 

Le cause della crisi

Nel cercare di comprendere gli eventi che hanno provocato questa crisi gli storici individuano tre grandi cause:  

  • la debolezza della domanda causata dalla sovrapproduzione,
  • la crisi agricola, 
  • le speculazioni e i facili guadagni. 

Primo: la debolezza della domanda

In tutto il decennio precedente, la crescita di produzione e dei profitti era aumentato molto; il potere d’acquisto della popolazione era aumentato sì, ma in misura decisamente minore. Quindi la popolazione non poteva acquistare tutto quello che l’aumento di produzione aveva messo sul mercato.

Questo provocò alla lunga un indebolimento della domanda: il mercato, dopo una lunga fase di espansione favorita dal sistema delle vendite rateali entrò in una condizione vicina alla saturazione.

Anche se i consumi dei ceti alti e medio alti continuavano a crescere in modo importante, questo non fu sufficiente per mantenere costantemente alto il potere d’acquisto complessivo dell’economia. Il potere d’acquisto infatti dipende soprattutto dal livello dei salari.  

Secondo: la crisi agricola 

Nel corso della seconda metà degli anni Venti emersero delle difficoltà nel settore agricolo.

Durante la Grande guerra l’agricoltura statunitense (assieme a quella argentina, australiana e canadese) aveva accresciuto la propria produzione e innalzato il livello di rendimento dei suoli per sostenere la richiesta europea. 

Per i paesi produttori di cereali la guerra era stata un buon affare: la riduzione della produzione interna europea aveva garantito un mercato più ampio e prezzi crescenti. Questo aveva indotto i coltivatori americani ad effettuare grossi investimenti mettendo a coltura nuove terre e intensificando la meccanizzazione delle lavorazioni agricole. Furono impiegati, ad esempio, su larga scala i trattori. Ma per fare questo le aziende agricole si erano fortemente indebitate con le banche.

Negli anni Venti la ripresa dell’agricoltura europea fece venir meno queste condizioni favorevoli: i coltivatori statunitensi che esportavano il 30% della loro produzione si trovarono di fronte a:

  • riduzione dei prezzi,
  • diminuzione dei guadagni,
  • conseguente difficoltà o addirittura impossibilità di restituire i prestiti.

Questa situazione provocò, nel corso degli anni Venti, il fallimento di parecchie piccole banche.

Terzo: speculazioni e guadagni facili

Nella seconda metà degli anni Venti, molto denaro girava nel mercato americano. Si incominciò quindi ad investire buona parte dei profitti industriali in operazioni finanziarie. Le banche facevano da intermediarie tra l’industria e la Borsa: una enorme massa di denaro vi veniva investita.

Il termine borsa deriva dal nome di una famiglia fiamminga di mercanti, i Van der Burse, che nel Trecento riunivano altri mercanti per scambiare merci e stabilirne assieme il prezzo. 

In quella fase i finanzieri, inebriati dall’ingente quantità di denaro disponibile, avviarono un gioco di speculazione borsistica al rialzo: si compravano azioni in modo da farne crescere il prezzo, in base al principio della domanda e dell’offerta, per poi rivenderle guadagnando la differenza.

La borsa funziona in questo modo: se la quantità di denaro investita è grande, cioè se ci sono molti acquisti, l’indice della Borsa si mantiene in ascesa (si pensi che l’indice della borsa di Wall Street ha più che raddoppiato il suo valore tra il 1924 e il 1929).

Se l’indice della borsa rimane a lungo in crescita, nei compratori di titoli si genera fiducia. Così accade che molte persone pensano che convenga investire in questo modo il proprio denaro per ottenere un immediato guadagno.

E negli USA, negli anni Venti accadde proprio questo. Si diffuse la convinzione che la borsa garantisse un rapido arricchimento a tutti. Questa convinzione generò euforia. L’euforia coinvolse non solo i ceti più abbienti ma anche una grande quantità di piccoli risparmiatori che preferirono giocare in borsa il proprio denaro piuttosto che risparmiarlo o destinarlo ai consumi. 

Era infatti sufficiente pagare tra il 10 e il 50% del costo iniziale delle azioni per acquistarle e entrare nel gioco del guadagno. Si prevedeva poi di rimborsare quanto non versato nella prima fase a vendita avvenuta. Si consideri che questa corsa al rialzo fu accelerata proprio dal fatto che gli ingenti capitali europee si erano resi disponibili dalla ripresa economica dopo la guerra. Tali capitali presero la via di Wall Street, perché tutti erano attirati dalle fruttuose speculazioni che da anni vi si realizzavano. 

Tutti erano convinti che questa tendenza fosse inarrestabile. Ogni tanto si sentiva qualche voce fuori dal coro come quella di Al Capone che dichiarava: “In borsa sono tutti dei delinquenti”. Oppure quella di chi preannunciava che sarebbe accaduto un crack, ma nessuno li ascoltò. 

Piccoli e grandi investitori furono travolti dal gioco della speculazione finanziaria:  operatori finanziari e uomini dello spettacolo, imprenditori e casalinghe, politici e semplici salariati,  tutti furono illusi da quella bolla speculativa. 

La bolla speculativa

Il valore finanziario dell’economia si gonfiava a dismisura senza una corrispondente crescita dell’economia reale. A questa enorme crescita del mercato dei titoli azionari, non corrispondeva un aumento della ricchezza prodotta e consumata. Il valore delle aziende aumentava virtualmente, ma non aumentava il valore reale delle aziende.

Il 24 ottobre 1929 l’indice di Wall Street iniziò a scendere. Come mai? Bastò pochissimo, una piccola flessione causata dal fatto che venivano offerte alla vendita più azioni di quante ne venissero richieste. Questo cambio di tendenza, causò un cambio di comportamento: risparmiatori e speculatori iniziarono a vendere per timore di subire perdite. Si diffuse il panico. Più si vendeva più diminuiva il valore delle azioni. Più diminuiva, più gli azionisti tentavano di sbarazzarsi delle azioni, prima che il loro valore fosse inferiore rispetto al valore che avevano quando loro avevano acquistato. Questo determinò una nuova ondata di vendite, una spirale negativa, un vortice impossibile da fermare.

E così accadde che il crollo fu progressivo e inarrestabile. Tutti i tentativi compiuti dalle autorità monetarie e dalle banche per tentare di invertire la tendenza, di arginare il crollo risultarono inutili.

L’indice della borsa iniziò a cadere verticalmente il 24 ottobre 1929, il giovedì nero, e nel 1932 raggiunse la sua quota minima.

Nel ’29 oltre 16 milioni di azioni furono vendute in pochi giorni. Prese quindi l’avvio una spirale di caduta dell’economia che durò ben 4 anni, prima che si avessero i primi segni di ripresa.

Dalla Borsa la crisi si allargò a macchia d’olio fino a coinvolgere tutto il sistema economico. 

Inoltre quelli che avevano affidato i loro risparmi alle banche, per timore di perdere i loro risparmi, presi dal panico, si precipitarono a ritirare i loro depositi. Ma quando le banche avevano esaurito la liquidità erano costrette a chiudere. Una catena di fallimenti investì le banche coinvolte nelle speculazioni. Oltre 5000 banche chiuse i battenti e quasi 2300 chiusero nel 1931. 

La recessione nell’economia

Le banche che non avevano chiuso i battenti cambiarono comunque i loro protocolli.

  • Le banche ridussero drasticamente i finanziamenti sia alle imprese per investimenti sia ai privati (per esempio i mutui per l’acquisto della casa).
  • Tutto il sistema entrò in una grave crisi di liquidità: mancava cioè il denaro per finanziare le attività economiche. 
  • La domanda di beni di consumo, che si stava già indebolendo, diminuì ulteriormente. Le industrie quindi dovettero ridurre la produzione, licenziare e chiudere. Lo stesso fecero anche le imprese edili.
  • Si avviò quindi una sempre più accelerata recessione dell’economia

La crisi fu lunga e profonda tutti gli indicatori economici registrarono tra il 1929 e il 1933 una grave flessione. In quattro anni gli Stati Uniti persero metà della loro ricchezza, 13 milioni di persone rimasero senza lavoro, un quarto della forza lavoro era disoccupata.

La dimensione internazionale della crisi 

Sul piano internazionale le conseguenze della crisi di Wall Street furono gravissime a causa della percentuale di produzione mondiale detenuta dagli Stati Uniti e dei legami finanziari con l’Europa e l’America Latina. Si pensi che gli Stati Uniti detenevano circa il 45%  della produzione mondiale.

Con la crisi le importazioni statunitensi diminuire drasticamente.

Tra il ’29 e il ’32 il 70% delle importazioni statunitensi fu sospeso. Si interruppe. Inoltre si interruppe il flusso di capitali statunitensi verso l’Europa. Questo provocò una recessione economica in tutti i paesi industrializzati. Causò:

  • aumento della disoccupazione,
  • caduta dei prezzi dei prodotti agricoli e delle materie prime.

Penalizzò massicciamente i paesi esportatori dell’America Latina.

In Europa la crisi fu particolarmente grave in Germania e in Austria che stavano lavorando alla ricostruzione dopo la Grande guerra grazie ai capitali statunitensi.

L’interruzione degli aiuti USA causò una violenta crisi. La Germania che si stava faticosamente risollevando ripiombò nel baratro della crisi e questo costituì un terreno fertile alla rapida ascesa del nazismo.

Riduzione dei commerci e protezionismo

Per effetto della crisi, il commercio internazionale cominciò a ridursi. Questo comportò non solo un rallentamento nell’attività economica a livello mondiale, ma anche una minore apertura nei rapporti tra i diversi paesi. La crisi fu infatti un fattore di grave instabilità internazionale sia economica che politica perché spinse tutti gli stati a rinchiudersi economicamente. Furono adottate politiche protezionistiche da tutti gli Stati per cercare una via d’uscita dalla difficile situazione e venne accentuata la concorrenza con gli altri paesi.

Fonti

  • M. Fossati, G. Luppi, E. Zanette, PARLARE DI STORIA, Pearson
  • https://keynes.scuole.bo.it/sitididattici/farestoria/index.html