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Dante Alighieri il poeta che arrivò alle stelle

Pubblicato su Feltrino News gennaio 2022

Dante è il più importante autore della letteratura italiana e la Divina Commedia, può essere considerata una delle opere più autorevoli della cultura occidentale.

Dante Alighieri nasce a Firenze nel 1265. All’età di 9 anni incontra Beatrice, la fanciulla che segnerà indelebilmente la sua vita. La incontra di nuovo nove anni dopo, quando lei, per la prima volta, lo saluta. Questo cenno si imprime nel cuore del poeta, che se ne innamora, perdutamente.

La famiglia, come era consuetudine, gli aveva già destinato una moglie e a 20 anni, Dante sposa Gemma Donati, figlia di un importante esponente della nobiltà fiorentina.

In questi anni scrive alcune opere, la più importante delle quali è La vita nova. In essa il poeta celebra il suo amore per Beatrice, morta a 24 anni; conclude dichiarando che non scriverà più di lei fino a quando non potrà parlarne in maniera più degna.

La famiglia di Dante appartiene alla piccola nobiltà in un tempo in cui si contendono il potere nei comuni italiani i guelfi e i ghibellini: due partiti che si schierano l’uno dalla parte del papa e l’altra da quella dell’imperatore. Ma, quando i ghibellini vengono sconfitti, i guelfi fiorentini, non riuscendo comunque ad andare d’accordo, si dividono in Bianchi, che non vogliono l’ingerenza del papa nella politica di Firenze, e Neri, supportati dal papato. Dante si schiera dalla parte dei Bianchi.

Verso la fine del Duecento il poeta inizia una brillante carriera politica che lo porta ad essere prima nel Consiglio del Popolo e poi nel Consiglio dei Savi. Nel 1300 viene addirittura eletto, per un bimestre, all’alta carica di Priore.

La sua carriera folgorante però è destinata a concludersi presto. Infatti nel 1301 Dante viene inviato a Roma, assieme ad altri esponenti di parte bianca, per parlare col papa Bonifacio VIII, ma il pontefice fa il doppio gioco. Mentre a Roma il papa parla con i Bianchi, a Firenze i Neri prendono il potere con l’approvazione papale.

I rappresentanti dei Bianchi che erano a Roma vengono dichiarati fuorilegge, quelli che sono a Firenze vengono cacciati. Dante viene ingiustamente accusato di baratteria; non farà più ritorno nella sua amata patria!

Il nuovo secolo segna quindi per Dante l’inizio di una nuova vita all’insegna della scrittura nelle varie corti della penisola. Muore a Ravenna nel 1321 senza aver più rivisto Firenze.

Tra il 1301 e il 1306 inizia a scrivere le opere che lo consacrano padre della lingua italiana.

Il De vulgari eloquenza è un trattato scritto in latino. L’intenzione del poeta è quella di spiegare al pubblico colto, le potenzialità nella nuova lingua: il volgare è ormai una lingua matura al punto da poter affrontare qualsiasi argomento.

Anche il Convivio è trattato scritto invece in volgare. Il titolo rinvia all’idea della festa, della condivisione. Dante infatti si pone come un esperto padrone di casa che apre le porte del suo sapere e invita ognuno di noi alla tavola della conoscenza. Vuole che ogni cittadino possa nutrire la sua anima al banchetto della sapienza e della cultura.

Ma entrambe le opere rimangono incompiute forse perché intorno al 1306 inizia a scrivere la sua opera più importante, la Divina Commedia.

Il poeta racconta di aver viaggiato nei tre regni dell’oltretomba medievale: Inferno Purgatorio e Paradiso.

Il viaggio inizia nella paura: il poeta si è perso nella Selva oscura, un luogo da cui non è mai uscita anima viva. Quando sta per farsi cogliere dalla disperazione, arriva dall’alto un aiuto insperato. Tre donne, che stanno in Paradiso, si muovono in suo soccorso: la Madonna, santa Lucia e Beatrice. Ecco dunque che ritroviamo la donna amata, quella di cui aveva smesso di parlare nella Vita nova. Lei è in Paradiso. Ed è in virtù dell’amore per lei che Dante compie quel viaggio straordinario: è l’amore per Beatrice che lo porta a riconoscere i suoi errori, a purificarsi e così ad elevare il suo animo.

La Divina commedia ha avuto da subito un successo straordinario per diversi motivi.

Innanzitutto le parole di Dante sono “vere”, sono dotate di verità. Raccontano infatti di un viaggio che l’uomo Dante ha percorso, un cammino all’interno del suo Inferno personale, che è simile all’inferno che ogni uomo incontra in qualche fase della vita.

Il poeta è stato cacciato dalla sua terra, dalla sua gente. Quanti uomini e donne oggi hanno dovuto lasciare case e affetti? Dante ci racconta il suo sentire, tra le inevitabili paure che lo assalgono e le risorse di cui dispone: uno stato d’animo che è comune all’uomo di ieri e a quello di oggi.

Nell’Inferno e nel Purgatorio il poeta incontra i vizi e le virtù degli uomini, modelli negativi e modelli positivi. In questa alternanza tra bene e male, Dante ci mostra che ogni estremismo è sempre sbagliato. 

Nell’Inferno ci indica la cristallizzazione del male, i rischi di chi persevera nell’errore e non si assume la responsabilità dei propri sbagli. 

Nel Purgatorio invece insegna che qualsiasi colpa può essere espiata, quando si è disposti a farsi carico degli errori commessi, e, per aiutare i penitenti, la Somma Sapienza ha posto degli angeli virtuosi che indicano le virtù necessarie per uscire dal peccato. 

Il percorso di purificazione porta poi tutte le anime in Paradiso, nella pace, nella beatitudine suprema.

Ma un simile viaggio non si può compiere in solitudine. Nessun uomo potrà mai riuscire ad affrontare i propri demoni da solo: c’è bisogno di una guida, un buon padre, un maestro. Così il poeta è affiancato da Virgilio prima, da Beatrice e San Bernardo poi. Quando affrontiamo i nostri demoni abbiamo bisogno di aiuto, per non soccombere, per imparare, per voltar pagina. Il maestro è colui che sa dire la parola giusta al momento giusto, che indica la via da intraprendere, ma che lascia che il discepolo sbagli e acquisisca l’esperienza necessaria.

Tutto questo si può imparare attraverso il viaggio di Dante.

Il Sommo poeta inoltre ci sprona ad essere umili e a chiedere aiuto: quando da soli non ce la facciamo, con un Maestro possiamo arrivare fino al fondo buio del nostro personale inferno, per poi tornar su a riveder le stelle.

Nel viaggio Dante ci fa incontrare animi grandi, i magnanimi, ci mostra cioè la grandezza dell’animo umano. E in questo mostrarci la magnanimità altrui, ci mette in contatto con la nostra. Tutti noi abbiamo un animo grande, un animo forte e saggio. Basta solo che ce lo ricordiamo. Basta solo che noi prendiamo contatto con questa nostra dimensione, che lo ricerchiamo perché spesso è solo nascosto sotto le nostre piccole meschinità. 

Ma abbiamo bisogno solo di riappropriarcene per ritrovare in noi quella grandezza che sappiamo ammirare negli altri.

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