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Niccolò Machiavelli nacque a Firenze il 3 maggio del 1469 in una famiglia agiata. Suo padre era un giurista appassionato per le discipline umanistiche e sua madre una letterata. Niccolò non ebbe quindi difficoltà a farsi una cultura.

In quell’epoca Firenze era governata dalla famiglia Medici, ma nel 1494, a causa di un’insurrezione popolare, la nobile famiglia venne scacciata e si istituì un governo repubblicano.

Poco tempo dopo Machiavelli entrò al servizio della Repubblica Fiorentina come Segretario della Seconda Cancelleria; a quell’epoca le cancellerie si occupavano della gestione amministrativa della città. 

Niccolò mostrò ben presto le sue capacità tanto che, se inizialmente a lui veniva solo richiesto di redigere documenti ufficiali, un po’ alla volta gli vennero assegnati incarichi diplomatici. Si trovò così a girare tra le corti europee al servizio di principi e sovrani. 

Addirittura a partire dal 1506 Machiavelli venne incaricato della riorganizzazione dell’esercito della Repubblica Fiorentina fino a diventare il braccio destro dell’uomo politico più importante dell’epoca.

Quando però, nel 1512, la repubblica fiorentina venne sconfitta dalle milizie pontificie, la famiglia Medici poté riprendere il governo della città e, ovviamente, fece piazza pulita di tutti coloro che avevano collaborato con il governo repubblicano. 

Lo sesso Machiavelli si trovò a pagare il prezzo del cambio di governo: non solo venne estromesso dalle funzioni pubbliche, ma fu anche arrestato e torturato perché accusato di aver aderito alla congiura antimedicea.

Rilasciato dal carcere e prosciolto dalle accuse, Machiavelli si allontanò da Firenze per ritirarsi in una villa vicino a San Casciano. In un primo momento mal sopportò il forzato esilio, ma accadde anche a lui quello che era accaduto due secoli prima a Dante: l’esilio divenne l’occasione per dedicarsi alla scrittura. E così in quel periodo Machiavelli scrisse le sue opere maggiori come Il principe e La Mandragola

A differenza di Dante però, il suo esilio terminò e, un po’ alla volta, grazie alle sue opere e alla stima di cui godeva presso i giovani intellettuali fiorentini, Machiavelli venne richiamato alla corte dei Medici. 

Qui gli furono affidati nuovi incarichi diplomatici e fu nominato “Storico ufficiale della città”.

Quando sembrava che la serenità fosse finalmente tornata nella sua vita, un altro colpo di stato ribaltò la situazione: i Medici furono cacciati e venne restaurata nuovamente la Repubblica. 

Ovviamente, dal momento che Machiavelli aveva collaborato con il governo mediceo, venne ancora una volta escluso da qualunque incarico.

Ma questa volta la sorte non gli arrise e il povero Machiavelli, allontanato dai salotti della politica, morì triste e amareggiato nel 1527; le sue opere però lo resero immortale.  

Machiavelli visse in un periodo di profondi cambiamenti.

Erano gli anni della fioritura del Rinascimento, quando stava maturando un nuovo modo di concepire l’uomo e il mondo. Mentre durante il Medioevo Dio era sempre stato considerato l’unico riferimento, col Rinascimento l’uomo viene messo al centro dell’attenzione. Scrittura, pittura e architettura si focalizzano sulla dimensione umana e la realtà viene osservata, studiata e misurata attraverso i sensi.

Ma anche dal punto di vista politico, l’epoca di Machiavelli è un’epoca di transizione.

Infatti fino al 1492 i diversi stati della penisola italica avevano goduto di un lungo periodo di stabilità. Ma con la morte di Lorenzo de Medici detto il Magnifico, era emersa la precarietà degli stati italici e le potenze straniere avevano iniziato a spadroneggiare nella penisola. 

In questa mutevolezza politica Machiavelli penetrò, con il suo sguardo, le logiche della ragion di stato e scrisse “Il principe” a testimonianza di quanto appreso.

Dedicò il suo saggio proprio al Magnifico, il più assennato dei principi da lui conosciuti.

Nel suo trattato Machiavelli delinea le caratteristiche dei sistemi politici della sua epoca: un’analisi acuta e lucida delle strategie di potere utilizzate dai Principi. 

L’autore esamina i sistemi che portano i Principi a conquistare e a conservare uno stato.

In particolare studia il modo in cui Cesare Borgia, duca di Valentino, sia riuscito ad ottenere il potere grazie alla fortuna e l’appoggio altrui, di come sia stato in grado di conservarlo con coraggio, ingegno e virtù; rivela anche come abbia saputo combinare, con scaltrezza, crudeltà e scelleratezze. Tutto era usato al servizio dello Stato, per garantire la stabilità politica. 

Analizzando le qualità dell’uomo di governo, l’autore mostra che spesso, un comportamento immorale sia spesso necessario per garantire il successo politico. Questo accade perché l’uomo, secondo Machiavelli è egoista e inaffidabile; ritiene quindi che i rapporti tra uomini siano sempre fondati su violenza e prevaricazione. 

Per questo, un Principe che vuole mantenere il suo regno, dev’essere risoluto e spietato, deve saper usare sia la forza del leone che l’astuzia della volpe e deve essere più temuto che amato dai suoi sudditi. Machiavelli si limita a raccontare come funziona la gestione del potere nella sua epoca e ne analizza i meccanismi.

Una stessa analisi lucida e graffiante emerge anche da una sua divertentissima commedia “La mandragola”, in cui Machiavelli racconta le vicende del fascinoso Callimaco, innamorato della bella Lucrezia. La donna però è fedelmente sposata con Nicia, un vecchio notaio che sarebbe disposto a qualsiasi cosa pur di avere un figlio. Callimaco allora, aiutato dal ruffiano Ligurio, mette in scena un imbroglio, coinvolgendo sia la madre di lei che il suo confessore, per coronare il suo sogno. La storia che ne esce assicura sonore risate agli spettatori ma suggerisce anche una riflessione: dalla vicenda emerge che ognuno dei personaggi è disposto a fare di tutto pur di raggiungere i propri obiettivi.

Lo sguardo di Machiavelli esamina quindi le dinamiche che muovono i comportamenti umani, ma non dà mai alcun giudizio. 

Non entra nel dibattito “giusta – sbagliato”, ma si limita a testimoniare quanto vede accadere. Poi lascia a noi l’onere di fare le nostre considerazioni e decidere quindi come agire.