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Perché è famoso?

  • Petrarca ha influenzato la poesia della cultura occidentale fino ai giorni nostri.
  • È considerato il padre della cultura europea moderna.
  • Petrarca incarna una religiosità più moderna, più intima rispettpo al suo contemporaneo Dante.
  • Petrarca è un intellettuale moderno caratterizzato dall’incertezza e dal dubbio, insoddisfatto dei risultati artistici ottenuti e sempre alla ricerca di una verità che si nasconde nell’intimo dell’anima.
  • La sua vita fu sempre segnata dal conflitto interiore: da un lato le glorie e i piaceri della vita mondana, dall’altro l’aspirazione all’elevazione spirituale, al distacco dal mondo.
  • Come molte moderne correnti di pensiero Petrarca è più portato a porsi domande che a dispensare risposte.

Nato sotto il segno dell’esilio

Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304, da Pietro di Parenzo, notaio, guelfo bianco, amico di Dante, esiliato da Firenze nel 1302. Francesco dunque nasce «sotto il segno dell’esilio» e per questo lui dichiara di sentirsi «straniero ovunque».

Nel 1312 si trasferisce ad Avignone perché il padre era impiegato presso la corte pontificia. Nel 1316, per volontà del padre, intraprende gli studi di legge a Montpelier, studi che prosegue nel 1320 a Bologna insieme al fratello Gherardo.

Nel 1326, muore il padre. Lui decide allora di abbracciare la carriera ecclesiastica e prende gli ordini minori. La sua scelta non è dettata da una chiamata religiosa, ma dal desiderio di seguire la sua vocazione letteraria e filosofica.

Il 6 aprile 1327 torna ad Avignone. Francesco racconta che quel giorno, nella chiesa di Santa Chiara, incontra Laura, la donna alla quale dedicherà poi tutte le sue liriche d’amore. Non abbiamo notizie storiche su questa donna. Quello che sappiamo è stato riferito da Petrarca. Ma una cosa è certa, questo incontro cambia la vita del poeta. Per questo tale evento è caricato dal poeta di un profondo significato simbolico.
In quegli anni entra a servizio del cardinale Giovanni Colonna come cappellano di famiglia. Questo incarico lo porta a viaggiare molto ma gli concede ma anche di trovare pace e isolamento per i suoi studi. Sono gli anni in cui si dedica alla filologia e in cui fa importanti scoperte filologiche.

Nel 1337 si stabilisce a Valchiusa, un luogo di pace e studio, dove però inizia una relazione dalla quale nascerà il suo primo figlio naturale. Il conflitto interiore che segnerà tutta la sua vita, lui sarà sempre diviso tra il sogno di una vita ascetica e la ricerca della gloria poetica, emerge così anche nella sua vita.

In quegli anni inizia a lavorare ai Trionfi, al De viris illustribus e ai nove canti dell’Africa. Nel 1340 gli fu offerta la Laurea poetica, titolo di massimo prestigio per un poeta, sia da Roma che da Parigi. Petrarca decise di accogliere la proposta di Roma e venne esaminato a Napoli dal Re Roberto d’Angiò. L’8 aprile del 1341 fu quindi incoronato poeta a Roma, in Capidoglio ottenendo il privilegium laureae, titolo che conferiva il diritto di insegnamento.


Il 1343 è un anno molto importante per il poeta:

  • nasce la sua seconda figlia, evento che testimonia l’incoerenza della sua vita;
  • il fratello Gherardo decide di farsi monaco certosino; la scelta di coerenza del fratello mostrano a Francesco la sua vita incoerente;
  • muoiono alcuni dei suoi protettori, tra cui lo stesso re di Napoli Roberto d’Angiò;
  • conosce Cola di Rienzo.

Questi eventi aprono un periodo di profonda crisi spirituale per Petrarca che percepisce la vanità della vita e si accentua il suo senso di colpa: lui non riesce a staccarsi dalle cose terrene e a placare il suo bisogno di gloria.
In quest’anno scrive il Secretum, il De otio religioso, e i Psalmi penitentiales e tra il 1342 e il 1343 inizia la stesura del Canzoniere. Tra il 1346 e 1347 inizia il De vita solitaria e il Bucolicum carmen.

Il periodo di crisi esistenziale fa risvegliare anche la sua coscienza morale e religiosa. Decide di partecipare attivamente agli eventi politici. Si definisce in lui il disegno utopico della restaurazione di un ordine universale. Questo è un pensiero molto medievale; ricordiamo che anche Dante aveva accarezzato un simile sogno.
Nel 1347 infatti Petrarca appoggia il tentativo rivoluzionario di Cola di Rienzo a Roma. Lui tenta di raggiungerlo ma quando Cola viene arrestato, Francesco si ferma a Verona e va poi a Parma.
E proprio a Parma, nel 1348, lo raggiunge la notizia della morte di Laura, vittima della peste. Scrive allora Il trionfo della morte.
Sono anni inquieti per il poeta che fino al 1362, continua irrequieto a spostarsi tra Verona, Mantova, Padova, Firenze e Milano; scrive De remedii utriusque fortunae.
Nel 1350 conosce Giovanni Boccaccio, già amico di Roberto d’Angiò. Con lui si crea un legame profondo.
Tra il 1362 e il 1368 rimane a Venezia e scrive De sui ipsius et multorum ignorantia. Nel 1368 avvia la costruzione di una casa sui colli Euganei nel padovano, ad Arquà dove poi si trasferisce. Negli ultimi anni della sua vita si dedica alla stesura del Canzoniere. Muore ad Arquà Petrarca nel 1374, assistito dalla figlia e dal genero.

Biografia Petrarca Treccani

Petrarca BIGnomi

Il pensiero e la poetica

Petrarca incarna un nuovo modello di intellettuale, che crede

  • nella dignità delle lettere
  • nella forte coscienza di sé e del proprio ruolo di letterato.

Petrarca è il primo intellettuale che rompe con l’esperienza comunale e si apre a una dimensione «europea». Lui accarezza un ideale di libertà che solo la letteratura e la cultura possono garantire. Esule per nascita e perennemente in viaggio, in conflitto con i suoi tempi, preferisce parlare

  • con autori classici e cristiani del passato,
  • con i lettori del futuro.

Un altro elemento di modernità sta nel fatto che Petrarca è il primo autore italiano ad aver lasciato molte notizie su di sé. Egli non lascia che i posteri raccolgano informazioni su di lui, ma si preoccupa di costruire un autoritratto ideale da consegnare ai posteri. Anche di Laura noi abbiamo poche informazioni, tutte sue, tutte funzionali a costruire un’immagine di questo amore, che non ha nulla di storico, ma molto di simbolico.

Un altro aspetto importante nella produzione petrarchesca e nell’attenzione all’interiorità: il poeta continua una ricerca del senso della propria esistenza e della conoscenza di sé.

La sua vita è caratterizzata da un dissidio, da una lacerazione che percorre ogni giorno della sua vita; e proprio il legame tra vita e letteratura diventa lo strumento con cui il poeta dà ordine e valore simbolico ai frammenti sparsi della propria vita interiore, nel tentativo di ricomporre i moti dell’anima e le sue intime lacerazioni.

Petrarca si avvicina ai classici con cui dialoga con una nuova coscienza critica e storica. Fino ad allora i testi classici erano stato letti con l’ottica cristiana tipica del medioevo che vedeva Dio al centro del mondo e di ogni respiro dell’uomo. Egli invece si approccia ai testi antichi con rispetto e attenzione, vuole capire i valori culturali e linguistici che sono alla base di quei testi, vuole conoscere i valori del mondo antico.

Ma quando Petrarca si approccia ai classici si rende però conto che le trascrizioni medievali sono piene degli inevitabili errori dei copisti. Come fare allora per capire esattamente cosa avevano scritto gli antichi? Come fare a cancellare gli errori dei trascrittori? Come restaurare opere che portano il segno deiu tempi?

Petrarca inizia a confrontare diverse trascrizioni dello stesso testo: dal confronto tra diverse versioni, dalla correzione degli errori dei diversi amanuensi, emerge un testo molto vicino alla forma originale.

Questo suo lavoro anticipa l’attività filologica che verrà consacrata dagli umanisti nel corso del Quattrocento. Si può però affermare che già con Petrarca la filologia diviene una scienza.

Petrarca rappresenta una figura di intellettuale complessa in cui convivono tratti che ne fanno un poeta moderno, precursore dell’Umanesimo, e tratti di segno opposto che delineano una figura di poeta tipicamente medievale.
È un uomo del Medioevo per la sua profonda religiosità, per l’obbedienza ai dogmi, per la formazione patristica che lo porta a mettersi in dialogo con Sant’Agostino e per i rapporti con le correnti mistiche medievali.
È uomo dell’Umanesimo per il suo amore per i classici, per l’intensa attività filologica, per la sua fede in una cultura disinteressata, per la ricerca di una vita appartata dedita allo spirito e non alle attività pratiche. 

Confronto tra Dante e Petrarca

Le opere in latino

De vita solitaria – Scritta nel 1346 il De vita solitaria è un’opera di carattere religioso e morale. In questo testo il poeta esalta la solitudine. L’isolamento dello studioso in una cornice naturale che favorisce la concentrazione è l’unica forma di solitudine e di distacco dal mondo che Petrarca riuscì a perseguire. Lui non riteneva che tale solitudine fosse in contrasto con i valori spirituali cristiani, in quanto secondo lui la saggezza contenuta nei libri, nei testi classici, era in perfetta sintonia con i valori spirituali. Questa posizione è definita «umanesimo cristiano».

Il letterato deve vivere in campagna, praticare caccia, agricoltura

De vita solitaria – Francesco Petrarca

De otio religioso – Nel 1347 scrive il De ozio religioso, un trattato scritto dopo la visita al fratello Gherardo che è monaco presso la certosa di Montrieux. Petrarca rimane colpito dallo stato d’animo gioioso dei monaci, ma si rende conto che quell’isolamento rigoroso dal mondo non è adatto a lui.

Epistulae – Sono lettere scritte a intellettuali, a signori, a uomini di Chiesa. Si tratta di componimenti letterari sottoposti a lunga elaborazione. Queste lettere tracciano il ritratto ideale del letterato che deve adempiere al suo ruolo di guida degli uomini del suo tempo, a cui deve offrire la saggezza ottenuta attraverso la conoscenza della letteratura latina.

Africa – è un poema epico rimasto incompiuto sulla seconda guerra punica. Scritto in esametri latini ha come obiettivo la celebrazione poetica di Roma.

De viris illustribus – contiene la biografia di 37 grandi uomini romani.

Bucolicum carmen – raccoglie 12 egloghe in cui si intrecciano elementi autobiografici e culturali.

Anche nelle altre opere latine Petrarca tratta i temi privilegiati della sua riflessione:

  • la precarietà di tutte le cose umane e terrene,
  • il mistero della morte,
  • la ricerca del senso vero dell’esistenza.

Petrarca sceglie il latino per i testi destinati ad un pubblico di dotti. Ma anche nelle opere in volgare lui trasferisce il decoro classico. Nella stesura delle sue opere pratica un lavoro costante di limatura sulle sue opere, un “labor limae”, finalizzato a rendere perfetta la forma dei suoi testi.

Secretum – scritto tra il 1347 e il 1353 è un dialogo immaginario tra Petrarca e sant’Agostino. Questa è forse l’opera che meglio riflette la sua crisi interiore in cui il poeta esprime il suo dissidio che nasce sia dal desiderio di assaporare le gioie del mondo che dal richiamo alla religione e alla vita ascetica.

Nei tre libri confessa le sue debolezze di uomo, medita

  • sulla seduzione delle passioni terrene,
  • sulla fragilità della volontà,
  • sulla precarietà della vita terrena
  • sul problema della morte,
  • sulla sua «accidia», una complessa malattia dell’animo, paragonabile alla moderna depressione.

Testi

T 1 – L’accidia, malattia dell’anima

Video lettura dialogo con Agostino L’accidia, malattia dell’anima

Video spiegazione L’accidia, malattia dell’anima

Dal Secretum

Nel secondo libro del Secretum, passando in rassegna i sette vizi capitali, Agostino mette spietatamente in rilievo il peccato più grave di Francesco: l’accidia.

Non si tratta di pigrizia né di una patologia ma di una malattia morale e psicologica, priva di cause precise che trascina l’individuo in una condizione di passività segnata da noia esistenziale, sconforto e angoscia.

AGOSTINO Ti domina una funesta malattia dell’animo, che i moderni hanno chiamato accidia e gli antichi aegritudo.
FRANCESCO II nome solo di essa mi fa inorridire.
AGOSTINO Non me ne meraviglio, poiché ne sei tormentato a lungo e gravemente.
FRANCESCO È vero; e a ciò s’aggiunge che mentre in tutte quante le passioni da cui sono oppresso è commisto un che di dolcezza, sia pur falsa, in questa tristezza invece tutto è aspro, doloroso e orrendo; e c’è aperta sempre la via alla disperazione e a tutto ciò che sospinge le anime infelici alla rovina. Aggiungi che delle altre passioni soffro tanto frequenti quanto brevi e momentanei gli assalti; questo male invece mi prende talvolta così tenacemente, da tormentarmi nelle sue strette giorno e notte; e allora la mia giornata non ha più per me luce né vita, ma è come notte d’inferno e acerbissima morte. E tanto di lagrime e di dolori mi pasco con non so quale atra voluttà, che a malincuore (e questo si può ben dire il supremo colmo delle miserie!) me ne stacco.
AGOSTINO Conosci benissimo il tuo male; tosto ne conoscerai la cagione. Di’ dunque: che è che ti contrista tanto? il trascorrere dei beni temporali, o i dolori fisici o qualche offesa della troppo avversa fortuna?
FRANCESCO Un solo qualsiasi di questi motivi non sarebbe per sé abbastanza valido. Se fossi messo alla prova in un cimento singolo, resisterei certamente; ma ora sono travolto da tutto un loro esercito.
AGOSTINO Spiega più particolarmente ciò che ti assale.
FRANCESCO Ogni volta che mi è inferta qualche ferita dalla fortuna, resisto impavido, ricordando che spesso, benché da essa gravemente colpito, ne uscii vincitore. Se tosto essa raddoppia il colpo, comincio un poco a vacillare; che se alle due percosse ne succedono una terza e una quarta, allora sono costretto a ritirarmi – non già con fuga precipitosa ma passo passo – nella rocca della ragione. Ivi, se avviene che la fortuna mi si accanisca intorno con tutta la sua schiera, e mi lanci addosso per espugnarmi le miserie della umana condizione e la memoria dei passati affanni e il timore dei venturi, allora finalmente, battuto da ogni parte e atterrito dalla congerie di tanti mali, levo lamenti. Di lì sorge quel mio grave dolore: come ad uno che sia circondato da innumerevoli nemici e a cui non si apra alcuno scampo né alcuna speranza di clemenza né alcun conforto, ma ogni cosa Lo minacci. Ecco, le macchine sono drizzate, sotto terra i cunicoli sono scavati, già oscillano le torri; le scale sono appoggiate ai bastioni; s’agganciano i ponti alle mura; il fuoco percorre le palizzate. Vedendo d’ogni parte balenare le spade e minacciosi i volti nemici, e prevedendo prossimo l’eccidio, non paventerà esso e non piangerà, posto che, se anche cessino questi pericoli, già solo la perdita della libertà è dolorosissima agli uomini fieri?
AGOSTINO Benché tu abbia trascorso su tutto ciò un poco confusamente, pure capisco che la causa di tutti i tuoi mali è un’impressione sbagliata che già prostrò e prostrerà infiniti altri. Giudichi tu di star male?
FRANCESCO Anzi, pessimamente.
AGOSTINO Per qual ragione?
FRANCESCO Non per una, certo, ma per infinite.
AGOSTINO Tu fai come quelli che per qualsiasi anche lievissima offesa tornano al ricordo dei vecchi contrasti.
FRANCESCO Non è in me piaga così antica che abbia ad essere cancellata dalla dimenticanza; le cose che mi tormentano sono tutte recenti. E ancor che col tempo qualche cosa si fosse potuta sanare, la fortuna torna cosi spesso a percuotere in quel punto, che nessuna cicatrice può mai saldare l’aperta piaga. Aggiungi l’aborrimento e il disprezzo dello stato umano; da tutte queste cagioni oppresso, non mi riesce di non essere tristissimo. Non do importanza che questa si chiami o aegritudo o accidia o come altrimenti vuoi. Siamo d’accordo sulla sostanza.
AGOSTINO Poiché, a quanto veggo, il male ti si è abbarbicato con profonde radici, non basterà averlo tolto via alla superficie, che rispunterebbe rapidamente: bisogna strapparlo radicalmente; ma sto incerto donde incominciare, tante sono le cose che mi trattengono. Ma per agevolare l’effetto dell’opera col ben precisare, percorrerò ogni singolo particolare. Dimmi dunque: quale cosa ritieni per tè precipuamente molesta?
FRANCESCO Tutto quanto primamente vedo, odo ed intendo.
AGOSTINO Perbacco, non ti piace nulla di nulla.
FRANCESCO nulla o proprio poche cose.
AGOSTINO Speriamo almeno che ti piaccia ciò che è salutare! Ma che ti spiace di più? Rispondimi per favore.
FRANCESCO Ti ho già risposto.
AGOSTINO Tutto ciò è caratteristico di quella che ho chiamata accidia. Tutte le cose tue ti spiacciono.
Trad. it. di E. Carrara, in F. Petrarca, Prose.

Nel Secretum l’autore ci mostra un animo sdoppiato. Nella misteriosa e inaccessibile interiorità dell’animo umano si nascondono contraddizioni difficili di risolvere. Il dialogo cerca di spiegarle: infatti Petrarca contrappone due posizioni: la voce di Agostino, ovvero la voce religiosa, e quella di Francesco, la voce dell’uomo.

Agostino, la voce religiosa dell’animo di Petrarca, mostra come l’accidia, la pigrizia esistenziale di Petrarca, sia dannosa per Francesco. Agostino ritiene che il tormento di Francesco si possa eliminare solo estirpando le cause del male. Agostino analizza le manifestazioni dell’accidia e le sue cause e sostiene che solo agendo sulle cause di essa il poeta potrà ritrovare la libertà interiore, una libertà che può essere rafforzata dalla fede.

Ma quali sono i motivi della sua oppressione? L’essere vittima della percezione del tempo che passa inesorabile, i dolori fisici, della contrarietà del destino.

Secondo Agostino il dramma di Francesco è legato ad un errore di valutazione sulla realtà.

L’uomo, incapace di rafforzare la sua razionalità, di gestire un ricordo, cede all’irrazionalità (un’impressione sbagliata che già prostrò e prostrerà infiniti altri..; tu fai come quelli che per qualsiasi anche lievissima offesa tornano al ricordo dei vecchi contrasti).

Francesco al contrario esagera la negatività della sua condizione. Usa immagini tratta dal mondo militare, immagini che troviamo anche in alcuni suoi sonetti: quella dell’assedio.

Il poeta dice di vedere espugnata, suo malgrado, la rocca della ragione da un esercito di fattori avversi. Molti elementi lo schiacchiano e lo costringono a percepire solo la miseria dell’uomo, caratterizzato solo da contraddizioni e debolezze.

Ma da questa riflessione emerge dato nuovo ed inaspettato: stare in questa condizione di prostrazione interiore procura al poeta un amaro piacere, “atra voluttà”. C’è qualcosa di dolce in questo suo sentire!

Questa sensazione è caratterizzata quindi da ambiguità: Francesco ammette di staccarsi a malincuore dalla triste meditazione sulla sua condizione.

Agostino in un altro passo del Secretum accusa Francesco di non volersi liberare davvero di questo strano piacere prodotto dallo stato accidioso, pieno di nostalgia e di ricordi contraddittori, come l’amore per Laura.

E Agostino dice chiaramente che con l’aiuto della forza di volontà si riesce ad estirpare il male causato dall’accidia: solo la forza di volontà può estirpare radicalmente questo atteggiamento.

Francesco conferma il rapporto della sua accidia con il ricordo. Ogni ferita del passato lascia il suo segno nell’animo umano, ogni esperienza dolorosa lascia cicatrici nell’animo dell’uomo.

Seconfdo Francesco nessuna nuova esperienza permette di rinnegare le ragioni delle passioni che hanno travolto l’uomo. Tali passioni mostrano la debolezza dell’essere umano e talvolta la amplificano (Non è in me piaga così antica che abbia ad essere cancellata dalla dimenticanza; le cose che mi tormentano sono tutte recenti).

In conclusione Agostino e Francesco definiscono l’accidia come un sostanziale rifiuto della realtà.

I temi

L’accidia è la malattia dell’anima che colpisce la volontà dell’individuo e la priva di ogni energia. Ma c’è dell’altro: chi è affetto da questo male non vuole veramente guarirne, perché l’accidia provoca una sorta di autocompiacimento.

La malattia, come afferma Petrarca in altri luoghi della sua opera, nasce da un’errata valutazione delle cose umane: noi sentiamo il desiderio religioso dell’eterno, dell’infinito. Questa tensione non può essere soddisfatta dalle tensioni umane. Le cose umane ci attraggono, ma quando le raggiungiamo, le otteniamo, il loro possesso si rivela fragile ed effimero. Da questo deriva una continua insoddisfazione, un’inquietudine costante che può portare all’inerzia.

L’accidia di Petrarca consiste nel dissidio interiore, tra cose umane e cose divine, nel quale il poeta continua dibattersi. Questo dissidio è alimentato da un desiderio vago e mai appagato che non ha un aspetto ben definito. Questa lacerazione dell’animo si traduce in inerzia morale che gli impedisce al poeta di compiere qualsiasi azione risolutiva. Inoltre questa condizione interiore si accompagna anche alla consapevolezza che i beni terreni sono vani.

La consapevolezza della vanità delle cose del mondo porta il poeta a vivere in una condizione di perenne malinconia da cui non riesce ad uscire.

La struttura del testo

Il brano ha struttura di testo argomentativo. Il discorso è condotto dalle domande di Agostino. Francesco nelle sue risposte descrive le sue esperienze interiori.

Agostino gli rimprovera in particolare l’accidia, la sua malattia dell’anima.

Francesco ne descrive accuratamente i sintomi: per essere più chiaro ricorre a metafore di carattere militare come “la rocca della ragione” e “le macchine d’assedio”. Poi ne ricerca le ragioni e considera che non ha alcun interesse, non prova gioia per ciò che gli sta intorno: nulla gli piace, tutto lo affligge.

Domande
 Comprensione
1.  L’argomento del brano è l’accidia: che cosa è esattamente?
2. L’accidia coglie Francesco per lunghi periodi o per brevi periodi?
3. Qual è l’origine del male di Francesco?
 Analisi
4. All’interno del dialogo qual è la funzione di Agostino?
5. Le risposte di Francesco sono esaurienti o sono vaghe ed elusive?
6. Le domande di Agostino sono incalzanti o insinuanti?
7.  Per spiegare l’origine dell’accidia quale linguaggio specifico adotta Francesco? 
Fonti:  
http://www.roberto-crosio.net/DIDATTICA_IN_RETE/SECRETUM_MAPPA.pdf
Prose. A cura de G. Martellotti e di P.G. Ricci, E. Carrara, E. Bianchi
M. Carlà, A. Sgroi, Letteratura in contesto, Palumbo editore.

T 2 – Salita al Monte Ventoso

Video Salita al Monte Ventoso

Dall’Epistolario

La lettera qui riportata, tradotta in italiano, è la più famosa dell’epistolario petrarchesco. È rivolta a Dionigi di Borgo San Sepolcro, un frate agostiniano che aveva regalato a Francesco Petrarca una copia delle Confessioni di sant’Agostino. Quel libro fu importante per la formazione del poeta e per la sua storia interiore. La lettera è del 26 aprile 1336: era venerdì santo il giorno di pentimento che precede la Pasqua e la Redenzione. La scelta, anche qui è decisamente simbolica.
Qui Petrarca ci racconta una camminata, una faticosa salita sulle pendici del Monte Ventoso.
[Ventoso: è il Mont Ventoux nel Comune di Malaucène, nella Provenza nord-occidentale, non lontano da Valchiusa, alto poco meno di duemila metri]

Francesco è in compagna del fratello Gherardo. Questa camminata diventa, per il poeta, l’occasione di rappresentare la propria vicenda esistenziale.

La conquista della vetta è la metafora della conquista della salvezza, della ricerca di salvezza. Ma, mentre Gherardo sale in modo sicuro e diritto, il poeta incontra continue difficoltà. Arrivato in cime al monte, Francesco legge ad alta voce un brano delle Confessioni agostiniane che sembra riferirsi proprio alla sua condizione.

Oggi spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso.
Da molti anni mi ero proposto questa gita; come sai, infatti, per quel destino che regola le vicende degli uomini, ho abitato in questi luoghi sino dall’infanzia e questo monte, che si può ammirare da ogni parte, mi è stato quasi sempre negli occhi. […]
Partimmo da casa il giorno stabilito e a sera eravamo giunti a Malaucena, alle falde del monte, sul versante settentrionale.
Qui ci fermammo un giorno ed oggi, finalmente, con un servo ciascuno, abbiamo cominciato la salita, e molto a stento.
La mole del monte, infatti, tutta sassi, è assai scoscesa e quasi inaccessibile, ma ben disse il poeta che «l’ostinata fatica vince ogni cosa» [cit. da Virgilio, Georgiche I, 145-146.].
Il giorno lungo, l’aria mite, l’entusiasmo, il vigore, l’agilità del corpo e tutto il resto ci favorivano nella salita; ci ostacolava soltanto la natura del luogo.
In una valletta del monte incontrammo un vecchio pastore che tentò in mille modi di dissuaderci dal salire, raccontandoci che anche lui, cinquant’anni prima, preso dal nostro stesso entusiasmo giovanile, era salito sulla vetta, ma che non ne aveva riportato che delusione e fatica, il corpo e le vesti lacerati dai sassi e dai pruni. Disse inoltre che non aveva mai sentito dire che altri, prima o dopo di lui, avessero ripetuto il tentativo.
Ma mentre ci gridava queste cose, a noi – così sono i giovani, restii ad ogni consiglio – il desiderio cresceva per il divieto.
Allora il vecchio, accortosi dell’inutilità dei suoi sforzi, inoltrandosi un bel po’ tra le rocce, ci mostrò col dito un sentiero tutto erto, ci diede molti avvertimenti e ce ne ripetè altri alle spalle, che già eravamo lontani.
Lasciate presso di lui le vesti e gli oggetti che ci potevano essere d’impaccio, tutti soli ci accingiamo a salire e ci incamminiamo alacremente.
Ma come spesso avviene, a un grosso sforzo segue rapidamente la stanchezza, ed eccoci a sostare su una rupe non lontana.
Rimessici in marcia, avanziamo di nuovo, ma con più lentezza; io soprattutto, che mi arrampicavo per la montagna con passo più faticoso, mentre mio fratello, per una scorciatoia lungo il crinale del monte, saliva sempre più in alto.
Io, più fiacco, scendevo giù, e a lui che mi richiamava e mi indicava il cammino più diritto, rispondevo che speravo di trovare un sentiero più agevole dall’altra parte del monte e che non mi dispiaceva di fare una strada più lunga, ma più piana.
Pretendevo così di scusare la mia pigrizia e mentre i miei compagni erano già in alto, io vagavo tra le valli, senza scorgere da nessuna parte un sentiero più dolce; la via, invece, cresceva, e l’inutile fatica mi stancava.
Annoiatomi e pentito, oramai, di questo girovagare, decisi di puntare direttamente verso l’alto e quando, stanco e ansimante, riuscii a raggiungere mio fratello, che si era intanto rinfrancato con un lungo riposo, per un poco procedemmo insieme.
Avevamo appena lasciato quel colle che già io, dimentico del primo errabondare, sono di nuovo trascinato verso il basso, e mentre attraverso la vallata vado di nuovo alla ricerca di un sentiero pianeggiante, ecco che ricado in gravi difficoltà.
Volevo differire la fatica del salire, ma la natura non cede alla volontà umana, né può accadere che qualcosa di corporeo raggiunga l’altezza discendendo. Insomma, in poco tempo, tra le risa di mio fratello e nel mio avvilimento, ciò mi accadde tre volte o più.
Deluso, sedevo spesso in qualche valletta e lì, trascorrendo rapidamente dalle cose corporee alle incorporee, mi imponevo riflessioni di questo genere:
«Ciò che hai tante volte provato oggi salendo su questo monte, si ripeterà, per te e per tanti altri che vogliono accostarsi alla beatitudine; se gli uomini non se ne rendono conto tanto facilmente, ciò è dovuto al fatto che i moti del corpo sono visibili, mentre quelli dell’animo son invisibili e occulti.
La vita che noi chiamiamo beata è posta in alto e stretta, come dicono, è la strada che vi conduce [riferimento al Vangelo di Matteo VII, 14].
Inoltre vi si frappongono molti colli, e di virtù in virtù dobbiamo procedere per nobili gradi; sulla cima è la fine di tutto, è quel termine verso il quale si dirige il nostro pellegrinaggio. […]
C’è una cima più alta di tutte, che i montanari chiamano il «Figliuolo»; perché non so dirti; se non forse per ironia, come talora si fa: sembra infatti il padre di tutti i monti vicini.
Sulla sua cima c’è un piccolo pianoro e qui, stanchi, riposammo.
E dal momento che tu hai ascoltato gli affannosi pensieri che mi sono saliti nel cuore mentre salivo, ascolta, padre mio, anche il resto e spendi, ti prego, una sola delle tue ore a leggere la mia avventura di un solo giorno.
Dapprima, colpito da quell’aria insolitamente leggera e da quello spettacolo grandioso, rimasi come istupidito. […]
Ma ecco entrare in me un nuovo pensiero che dai luoghi mi portò ai tempi.
«Oggi – mi dicevo – si compie il decimo anno da quando, lasciati gli studi giovanili, hai abbandonato Bologna. Dio immortale, eterna Saggezza, quanti e quali sono stati nel frattempo i cambiamenti della tua vita! Così tanti che non ne parlo; del resto non sono ancora così sicuro in porto da rievocare le trascorse tempeste.
Verrà forse un giorno in cui potrò enumerarle nell’ordine stesso in cui sono avvenute; premettendovi le parole di Agostino:
‘Voglio ricordare le mie passate turpitudini, le carnali corruzioni dell’anima mia, non perché le ami, ma per amare te, Dio mio’. [Agostino, Confessioni II, 1, 1.]
Troppi sono ancora gli interessi che mi producono incertezza ed impaccio.
Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità.
È proprio così: amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma contro voglia, nella costrizione, nel pianto, nella sofferenza.
In me faccio triste esperienza di quel verso di un famosissimo poeta:
‘Ti odierò, se posso; se no, t’amerò contro voglia’. [Ovidio, Amori III, 11, 35.]
Non sono ancora passati tre anni da quanto quella volontà malvagia e
perversa che tutto mi possedeva e che regnava incontrastata nel mio spirito cominciò a provarne un’altra, ribelle e contraria; e tra l’una e l’altra da un pezzo, nel campo dei miei pensieri, s’intreccia una battaglia ancor oggi durissima e incerta per il possesso di quel doppio uomo che è in me». […]
Mentre ammiravo questo spettacolo in ogni suo aspetto ed ora pensavo a cose terrene ed ora, invece, come avevo fatto con il corpo,
levavo più in alto l’anima, credetti giusto dare uno sguardo alle Confessioni di Agostino, dono del tuo affetto, libro che in memoria dell’autore e di chi me l’ha donato io porto sempre con me: libretto di
piccola mole ma d’infinita dolcezza.
Lo apro per leggere quello che mi cadesse sott’occhio: quale pagina poteva capitarmi che non fosse pia e devota?
Era il decimo libro. Mio fratello, che attendeva per mia bocca di udire una parola di Agostino, era attentissimo.
Lo chiamo con Dio e testimonio che dove dapprima gettai lo sguardo, vi lessi:
«E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi». [Agostino, Confessioni X, 8, 15.]
Stupii, lo confesso; e pregato mio fratello che desiderava udire altro di non disturbarmi, chiusi il libro, sdegnato con me stesso dell’ammirazione che ancora provavo per cose terrene quando già
da tempo, dagli stessi filosofi pagani, avrei dovuto imparare che niente è da ammirare tranne l’anima, di fronte alla cui grandezza non c’è nulla di grande.
Soddisfatto oramai, e persino sazio della vista di quel monte, rivolsi gli occhi della mente in me stesso e da allora nessuno mi udì parlare per tutta la discesa: quelle parole tormentavano il mio silenzio.
Non potevo certo pensare che tutto fosse accaduto casualmente; sapevo anzi che quanto avevo letto era stato scritto per me, non per altri.

Lo stile di questo brano è costituito da una miscela di ricercatezza e di colloquialità. L’autore vuole creare una relazione confidenziale con il proprio interlocutore, ma vuole costruire anche una narrazione esemplare, che valga come modello da imitare.

Il tema di questa lettera è quello dell’ascensione allegorica. Il monte rappresenta la vita che avvicina l’uomo alla salvezza, così come avviene per esempio nella Commedia dantesca. Le difficoltà incontrate nella salita rappresentano gli ostacoli che vanno superati per raggiungere Dio.

Ben si spiega che il fratello Gherardo salga in modo più disinvolto e spedito. Lui si era ritirato in convento e anche per questo il fratello costituiva, agli occhi del poeta, un modello di virtù a cui guardare con inevitabili sensi di colpa.

La natura allegorica del testo è rivelata dalla possibilità di leggerlo come puro e semplice racconto autobiografico e di applicare a esso, ma anche come racconto del percorso spirituale del poeta.

È qui cioè applicato, in piccolo, lo stesso modello presente nel poema di Dante.

Rispondi

1. Lo stile epistolare del testo si individua attraverso espressioni quotidiane e familiari; quali sono?
2. A che cosa servono, secondo te le citazioni?
3. A quali aspetti dell’ascesa Petrarca dà particolare rilievo?
4. Perché Gherardo sale più rapidamente di Francesco?
5. Che genere di riflessioni l’autore intreccia alla descrizione?
6. Quali significati allegorici suggerisce?
7. Perché la lettura del passo di Agostino mette in crisi il poeta?
8. Il ripiegamento su se stesso rivela il «doppio uomo» che vi-
ve in Petrarca. Quale duplicità emerge da questa lettera?

T 3 Il piacere della solitudine

De vita solitaria – dal libro I

Dimmi, o padre, quanto valuti tu questi beni che sono alla portata di tutti: vivere come vuoi, andare dove vuoi, stare dove vuoi, riposare di primavera sopra un giaciglio di fiori purpurei, d’autunno tra mucchi di foglie cadute; ingannare l’inverno con lo starsene al sole, l’estate con l’ombra e non sentire né l’una né l’altra stagione se non fin dove tu vuoi? Ma in ogni stagione essere padrone di te, e, dovunque ti trovi, vivere con te stesso, lontano dai mali, lontano dall’esempio dei cattivi, senza essere spinto, urtato, influenzato, incalzato; senza essere trascinato a un banchetto mentre preferiresti aver fame, costretto a parlare mentre brameresti star zitto, o salutato in un momento inopportuno, o afferrato e trattenuto agli angoli delle strade e, secondo i dettami di un’educazione grossolana e sciocca, messo tutto il giorno in berlina a osservare chi ti passa dinanzi: chi ti guarda ammirandoti come una rarità, chi arresta il passo quando t’incontra, chi incurvandosi si accosta al compagno e gli sussurra non so che nell’orecchio sommessamente, oppure chiede di te a quelli in cui s’imbatte; chi ti spinge tra la folla dandoti fastidio, o ti cede il passo dandoti ancor più fastidio; chi ti porge la mano, chi se la porta al capo; chi si appresta a farti un lungo discorso quando c’è poco tempo, chi ammicca senza parlare e passa avanti stringendo le labbra. Quanto valuti, infine, non invecchiare tra i fastidi, non premere sempre ed esser premuto fra uno stuolo di salutatori, non aver mozzo il respiro, né sudare in pieno inverno colpito da tristi esalazioni; non disimparare l’umanità in mezzo agli uomini e, infastidito, prendere in odio ogni cosa, gli uomini, gli affari, coloro che ami, te stesso? non dimenticare le cose che ti stanno a cuore per dedicarti a molte che non ti fanno piacere? Senza contravvenire, infine, alle parole dell’Apostolo rivolte ai Romani – «nessuno di noi vive per se stesso, nessuno muore per se stesso: perché se viviamo, viviamo per il Signore, se moriamo, moriamo per il Signore» -, per te stesso vivere o morire, in modo da vivere e morire non per altri che per il Signore? Frattanto, stare come in un posto di vedetta, osservando ai tuoi piedi le vicende e gli affanni degli uomini, e vedere ogni cosa – e particolarmente te stesso – passare con tutto l’universo; e non dover sopportare le molestie di una vecchiaia furtivamente insinuantesi, prima di averne sospettato l’appressarsi (questo accade a tutte le persone indaffarate), ma vederla molto tempo prima, e prepararle un corpo sano e un animo sereno. Sapere che questa non è la vita, ma l’ombra della vita; un albergo, non una casa; una strada, non la patria; una palestra, non una stanza. Non amare ciò che è transitorio e desiderare ciò che rimane: ma finché quello ci è accanto, sopportarlo in pace. Ricordar sempre di essere mortali, cui tuttavia è stata assicurata l’immortalità. Far andare indietro la memoria, vagabondare con l’anima per tutti i tempi, per tutti i luoghi; fermarsi qua e là, e parlare con tutti quelli che furono uomini illustri; dimenticare così gli autori di tutti i mali che ci sono accanto, talvolta anche noi stessi, e spinger l’animo tra le cose celesti innalzandolo al di sopra di sé; meditare su ciò che lì accade, accendere con la meditazione il desiderio, ed esortare per converso te stesso, accostando al tuo cuore già in fiamme le fiaccole, per così dire, delle parole ardenti. È questo un frutto – e non è l’ultimo – della vita solitaria: chi non l’ha gustato non l’intende. Frattanto – per non tacere di occupazioni più comuni – dedicarsi alla lettura e alla scrittura, alternando l’una come riposo dell’altra, leggere ciò che scrissero gli antichi, scrivere ciò che leggeranno i posteri, a questi almeno, se a quelli non possiamo, mostrare la gratitudine dell’animo nostro per il dono delle lettere ricevuto dagli antichi; e verso gli antichi stessi non essere ingrati nei limiti che ci sono consentiti, ma render noti i loro nomi se sconosciuti, farli ritornare in onore se caduti in dimenticanza, trarli fuori dalle macerie del tempo, tramandarli alle generazioni dei pronipoti come degni di rispetto, averli nel cuore, averli sulle labbra come una dolce cosa; in tutti i modi insomma, amandoli, ricordandoli, esaltandoli, render loro un tributo di riconoscenza, se non proporzionato, certo dovuto ai loro meriti.

Petrarca in questo brano ci mostra come la solitudine costituisca la sua condizione ideale di vita, l’unica situazione in cui lui riesca a far fiorire la sua anima.

Petrarca contrappone all’otium, alla solitudine, la frenesia della vita cittadina, che obbliga l’uomo a indossare una maschera sociale, a vivere in una condizione di falsità.

Solo quando il poeta può star lontano dalle imposizioni della vita sociale, riesce a incontrare il divino e a ritrovare se stesso.

Sono quando è da solo il poeta può guardare la vita a distanza, e dedicarsi alle lettere, a leggere e a scrivere «leggere ciò che scrissero gli antichi, scrivere ciò che leggeranno i posteri».

Lettura dei classici e scrittura sono per il poeta due attività che lo mettono in contatto con le sue radici esteriori, i classici, e quelle interiori, la sua anima.

Tramandare il sapere dei classici è per Petrarca una vocazione: sembra che il senso della sua vita sia legato a ridare luce a opere e testi caduti in “dimenticanza” per “tramandarli alle generazioni dei pronipoti come degni di rispetto”.

Le opere in volgare

Francesco Petrarca scrisse in volgare solo due opere Trionfi e Canzoniere, perché era convinto che fosse il latino la lingua letteraria per eccellenza e perché era certo che avrebbe raggiunto la fama proprio attraverso i suoi scritti in latino.

Nonostante questo Petrarca era consapevole che il volgare costituiva una risorsa linguistica nuova con la quale era possibile raggiungere forme espressive di elevato valore artistico.

Trionfi – Nel 1353 scrive i Trionfi, un poema allegorico in terzine a rima incatenata. Il poeta immagina di avere avuto la visione di sei carri trionfali: il carro dell’Amore, della Pudicizia, della Morte, della Fama, del Tempo, dell’Eternità.

Il Canzoniere

Titolo originale: Francisci Petrarche laureati poetae rerum vulgarium fragmenta

Il poeta e la sua Laura

Il Canzoniere è considerato il capolavoro di Francesco Petrarca. Si tratta di una raccolta selezionata e ordinata di componimenti lirici in lingua volgare. Il termine fragmenta fa riferimento sia alla frammentazione della vicenda narrata nei diversi componimenti poetici, che alla lacerazione dell’animo del poeta, quel dissidio che lo caratterizza.

La raccolta è costituita da 366 poesie (365 come i giorni dell’anno più un sonetto introduttivo). La maggior parte delle liriche è dedicata a Madonna Laura. Le prime liriche risalgono al 1337, quando si stabilì a Valchiusa: aveva conosciuto Laura il 6 aprile 1327 nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone. Quando nel 1348 muore Laura, vittima della peste, il poeta continua a scrivere poesie a Laura. In quell’anno la peste uccide molti dei suoi amici e il lutto assume un forte valore simbolico: la scomparsa della donna e quella di tanti amici, diventa il segno della fine di un’epoca. Questo spinge Petrarca ad avviare un bilancio della propria esperienza umana e intellettuale. È il momento della cosiddetta «mutatio animi», la trasformazione dell’animo, in cui matura l’idea di raccogliere le sue liriche in volgare in un libro unitario.

Il Canzoniere ha le caratteristiche dell’autobiografia, ma la vicenda va considerata come un tentativo di ricostruire idealmente la sua vita, come aveva fatto Dante nella Vita nova. Petrarca lavorò per quarant’anni a questa raccolta aggiungendo poesie e modificando di continuo l’ordine delle liriche.

L’intera raccolta è divisa in due parti che dipendono dalla condizione psicologica del poeta nei confronti della donna amata perché il suo stato d’animo muta dopo la morte di lei. Così le liriche si dividono in poesie

  • in vita di Madonna Laura, in cui Laura è presente e dominante nel suo animo,
  • in morte di Madonna Laura, nelle quali emerge il distacco dall’amore terreno.

Nelle poesie In vita di Laura, la donna è bellissima e indifferente. Il poeta è invece tormentato dal dissidio interiore. Il suo stato d’animo alterna tra momenti di gioia e di scoramento. Il paesaggio è in sintonia con lo spirito del poeta.

Nelle poesie In morte di Laura lei è compassionevole verso le sofferenze del poeta, che prova una profonda nostalgia per la sua amata. Qui Laura viene idealizzata. Anche in queste liriche il paesaggio è in sintonia con lo spirito del poeta. Sembra che l’ambiente riverberi dello stato d’animo dell’innamorato.

Temi del canzoniere

  • Amore tormentato, sia per la ritrosia di Laura, che per situazione di schiavitù a cui è stato posto da Amore.
  • Dissidio interiore: il poeta vive in perenne contrasto di sentimenti: è lacerato dal cedimento alle passioni terrene e dal richiamo religioso; ama il divino, ma non sa respingere ciò che è umano. Solo scrivendo il poeta trova pace nel dissidio.
  • Il tempo scorre – Il fascino terreno di Laura che subisce gli attacchi del tempo. Questo tema è nuovo nella poesia amorosa trecentesca.
  • Stanchezza e bisogno di quiete e di riposo. La morte viene vista come possibile soluzione.
  • Accidia è la malattia del poeta; quella di Petrarca è una malattia della volontà che lo tiene in un’eterna oscillazione tra ragione e sensi.
  • Temi politici: alcuni sonetti a tema politico rompono la monotonia dei testi amorosi; il poeta attacca la curia avignonese auspicando un ritorno a Roma.

Il Canzoniere narra quindi:

  • la storia dell’anima del poeta protagonista,
  • le sue oscillazioni tra stati fisici e psichici opposti,
  • la sua inquietudine,
  • i contrasti religiosi e morali.

Petrarca non realizza nel Canzoniere un diario sentimentale, cronologico, con intento narrativo, in quanto Laura è personaggio letterario e non biografico. Laura non è angelo, e in questo si discosta dalla tradizione dello Stilnovo, la sua immagine è solo metaforica, è una donna reale che invecchia e muore; è una donna bellissima, ma la sua bellezza sfiorisce. Inoltre mentre per gli stilnovisti la donna amata diventa un tramite per l’elevazione morale del poeta, per il suo miglioramento, Laura è percepita dal poeta come ostacolo al raggiungimento della pace spirituale. Infatti Petrarca è incapace di rinunciare ai beni terreni, sia a questo amore, pur cogliendone la peccaminosità, che ai sogni di gloria. Il poeta continua a oscillare tra la visione della donna come fonte di gioia e di beatitudine e come causa di sofferenza e rimorso.

In quest’opera Laura diventa il nodo di congiunzione tra sacro e profano.

Petrarca racconta di aver incontrato Laura il venerdì 6 aprile 1327, lui dichiara che fosse il Venerdì Santo. L’incontro è accaduto in chiesa, durante la celebrazione della passione di Cristo. Lui dà un’indicazione precisa, ma … quel giorno non era il Venerdì Santo. Questo e altri elementi fanno pensare che la figura di Laura abbia più un valore simbolico che storico.

Lo stile del Canzoniere

Nelle liriche Petrarca elimina tutti gli elementi quotidiani e concreti: usa un linguaggio selezionato per rispondere alla necessità di vincere il tempo. La lingua poetica che lui adotta è una lingua lontana dal quotidiano, è scritta solo per la letteratura. Il poeta realizza quindi una poesia controllata in cui elementi fonici, sintattici, lessicali e retorici sono in perfetto equilibrio, In tutte le sua liriche opera un attento lavoro di limatura e ottiene un linguaggio fluido ed elegante.

Le forme scelte da Petrarca sono:

  • Sonetti;
  • Canzoni: con cinque o sette stanze di endecasillabi o settenari, mantiene lo stesso schema di rime;
  • Ballate: con strofe e ritornelli, destinate alla danza;
  • Madrigali: di forma breve, realizza serie di terzine seguite da uno più distici.

Linguaggio

Lo stile petrarchesco si differenzia da quello di Dante: mentre Dante utilizza un’enorme ricchezza e varietà di stile e di registro, Petrarca usa uno stile unico costante e coerente chiamato unilinguismo.

Le forme sintattiche usate da Petrarca sono:

  • Asindeti e polisindeti: la sintassi semplice rende più armoniosa la coesione fra le parti;
  • Serie di aggettivi;

Le forme retoriche usate da Petrarca sono:

  • Chiasmi;
  • Antitesi:

Pace non trovo, et non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra ‘l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto ‘l mondo abbraccio.

  • Ossimoro: … disgustoso piacere … illustre sconosciuto … silenzio assordante
  • Endiadi: solo e pensoso, lenti e tardi …
  • Enjambement tra aggettivo e sostantivo;
  • Parallelismi;
  • Calembour giochi di parole sul nome Laura

Petrarca vuole creare una lingua artificiale che applicabile solo alla letteratura.

Spazio e tempo

Lo spazio è colto soggettivamente e il tempo è segnato dalla consapevolezza del suo scorrere inevitabile. I suoi testi passano frequentemente tra presente e passato: il passato evocato dalla memoria e il presente. C’è un io di allora e un io di oggi, in cui l’esperienza soggettiva del poeta si pone come un esempio per l’uomo.

Influssi culturali nella concezione dell’amore in Petrarca

Il Canzoniere di Petrarca è una raccolta di 366 poesie, 317 dei quali sono sonetti, in cui il poeta canta il suo amore, inappagato e tormentato, per Laura.
La conflittuale vicenda d’amore non è fine a se stessa, ma è assunta a paradigma di un’esperienza più vasta. Il poeta infatti opera una continua introspezione, che lo porta ad indagare nel suo bisogno di assoluto in conflitto con il contemporaneo legame con i beni terreni.
Questo dissidio che lacera il poeta, non troverà mai una soluzione definitiva, se non nella limpidezza della forma.

T 4 – Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono

Video lettura sonetto Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono

Video spiegazione Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono

Questo è il primo sonetto del Canzoniere, ma l’ultimo per composizione. Costituisce un bilancio dell’esperienza amorosa.

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

del vario stile in ch’io piango et ragiono
fra le vane speranze e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;

et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

Voi (lettori o ascoltatori) che ascoltate, in queste poesie staccate tra loro, il suono di quei sospiri d’amore con in quali io nutrivo il mio animo, nel tempo del mio primo traviamento giovanile, quando io ero, in parte, un uomo diverso da quello che sono ora, (sottinteso voi che ascoltate il suono) dei diversi stili, con i quali io piango e mi esprimo, (mentre sono lacerato) fra le inutili speranze e l’inutile dolore, se (qualora) ci fosse (sottinteso tra di voi) qualcuno che sappia, perché lo ha provato, che cosa sia l’amore, spero di trovare (presso colui) compassione e perdono.
 
Ma ora mi accorgo chiaramente come, per tutto il popolo, sono stato, per molto tempo, oggetto di dicerie, per questo motivo spesso io provo vergogna, di me stesso, dentro di me;  e la vergogna è il risultato del mio vaneggiare, il pentimento e la consapevolezza chiara che tutto ciò che riguarda la vita terrena è di breve durata.

FORMA: sonetto – SCHEMA delle rime: ABBA ABBA CDE CDE

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono viene posto all’inizio del Canzoniere, ma è stato composto più tardi, quasi sicuramente dopo la morte dell’amata Laura. Petrarca si volge indietro ed opera un bilancio della propria esperienza amorosa. Si rivolge a chi, come lui, soffre pene d’amore e chiede comprensione e perdono perché il suo “primo giovanile errore”, l’amore Laura, lo ha traviato e lo ha allontanato dall’amore per Dio. l'”io poetico” si presenta, dunque, come colui che ha sbagliato in passato ed ora se ne vergogna.

Il sonetto, quindi, rappresenta, contemporaneamente sia l’inizio che la fine, perché è collocato posto all’inizio della raccolta, ma ripercorre criticamente l’esperienza passata del poeta.

In Dante, il pentimento era legato a diversi peccati; qui, invece, l’unico peccato è stato l’amore.

L’attitudine all’introspezione è tipicamente petrarchesca, così come il binomio sacro e profano.

Petrarca inserisce un elemento di estrema modernità: la ricerca della musicalità del verso. Il poeta seleziona i termini da impiegare innanzitutto in nome della musicalità del suono: i vocaboli che formano rima o assonanza tra loro, “suono – sono – sogno”, sono le parole-chiave che costituiscono l’ossatura del Canzoniere (musicalità – poesia come espressione di sé – il sogno, l’arbitrio.

Petrarca invita noi, che ascoltiamo, che leggiamo le poesie, a partecipare ai suoi stati d’animo. Da alcune espressioni, come “rime sparse” (v. 1) e “vario stile” (v. 5) si intuisce che Petrarca condanna i suoi comportamenti, la sua incoerenza. Ma queste parole si riferiscono anche alla forma delle sue poesie. Infatti il poeta si aspettava di ottenere la gloria dal poemetto in latino Africa, mentre attribuiva un’importanza minore alle opere in volgare, le considerava frammenti, rime sparse, senza importanza.

Piani temporali

In questa poesia si intrecciano due piani temporali: il presente, che è il tempo della vergogna e del pentimento e il passato, che costituisce il momento dell’errore. In questo sonetto l’io poetico percepisce, con angoscia, lo scorrere inesorabile del tempo, da cui deriva la precarietà di tutte le cose terrene e quindi la vanità delle stesse.

La struttura del sonetto è divisa in due parti: le due quartine e le due terzine.

Nelle quartine, vi sono rime dai suoni dolci e armoniosi; qui si parla del pubblico e del contenuto dell’opera.

Nelle terzine, notiamo un certo incupimento, anche le rime hanno suoni chiusi e aspri; questa durezza scaturisce dal pentimento, dalla derisione e dalla vergogna che il poeta sente verso l’amore che lui ha vissuto per Laura. Questo amore è considerato come qualcosa di inutile, vano. Questa concezione viene evidenziata maggiormente dall’ultimo verso del sonetto: “che quanto piace al mondo è breve sogno” (v. 14). Da questo ultimo verso possiamo comprendere che il tema-chiave del sonetto è la vanità dei beni terreni.

Figure retoriche di rilievo

Il sonetto esordisce con un’apostrofe: “Voi ch’ascoltate…” in questo caso si rivolge al pubblico indistinto di tutti i suoi lettori.

Poniamo ora l’attenzione agli enjambement, che troviamo nei versi 1-2, 9-10, 10-11.

In secondo luogo ascoltiamo le allitterazioni:

La sintassi risulta tortuosa e complessa. Il poeta esordisce con un anacoluto. “Voi ch’ascoltate […] spero trovar pietà nonché perdono (vv. 1-8);

Nei versi 5 e 6 troviamo la figura del chiasmo: piango … ragiono … speranze … dolore».

Nell’ultima terzina troviamo un polisindeto: “e del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto, / e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente …

Due sono i versi in cui il poeta fa uso di anastrofe.… del mio vaneggiar vergogna è il frutto” al verso 12; “favola fui gran tempo” al verso 10.

Domande relative al sonetto “Voi ch’ascoltate …”

  1. Qual è la funzione di questo primo sonetto?
  2. Nel sonetto compaiono due diverse espressioni che accennano alla struttura del Canzoniere e allo stile dei componimenti. Ritrovale e spiegane il significato.
  3. Per quale motivo Petrarca definisce il suo amore per Laura giovanil errore?
  4. In questo sonetto il poeta analizza la sua intera esistenza: passato e presente si intrecciano nella sua coscienza. Individua nel testo i termini e le espressioni che si riferiscono al presente e al passato.
  5. Nei versi 5 e 6 è presente la figura retorica del chiasmo che Petrarca usa per spiegare il suo dissidio interiore spiega In che cosa consiste la figura retorica e individua i termini che sono coinvolti.
  6. Sottolinea nel testo i termini che rimandano al campo semantico della vanità.

Arti a confronto – Vanità di Branduardi

Il tema della vanità è stato affrontato da molti artisti. Vi propongo la canzpone di Angelo Branduardi Vanità di vanità. Buon ascolto!

Video canzone Vanità Branduardi

TESTO DELLA CANZONE
Vai cercando qua, vai cercando là,
Ma quando la morte ti coglierà
Che ti resterà delle tue voglie?
Vanità di vanità.Sei felice, sei, dei piaceri tuoi,
Godendo solo d’argento e d’oro,
Alla fine che ti resterà?
Vanità di vanità.Vai cercando qua, vai cercando là,
Seguendo sempre felicità,
Sano, allegro e senza affanni…
Vanità di vanità.Se ora guardi allo specchio il tuo volto sereno
Non immagini certo quel che un giorno sarà della tua vanità.Tutto vanità, solo vanità,
Vivete con gioia e semplicità,
State buoni se potete…
Tutto il resto è vanità.Tutto vanità, solo vanità,
Lodate il Signore con umiltà,
A lui date tutto l’amore,
Nulla più vi mancherà.Se ora guardi allo specchio il tuo volto sereno
Non immagini certo quel che un giorno sarà della tua vanità.Tutto vanità, solo vanità,
Vivete con gioia e semplicità,
State buoni se potete…
Tutto il resto è vanità.Tutto vanità, solo vanità,
Lodate il Signore con umiltà,
A lui date tutto l’amore,
Nulla più vi mancherà.
Fonte: Musixmatch Compositori: Angelo Branduardi / Luigi Magni / Luisa ZappaTesto di Vanità di vanità © Edward Kassner Music Co. Ltd

T 5 – Era ‘l giorno ch’al sol

Video lettura sonetto Era ‘l giorno

Video spiegazione Era’l giorno

In questo sonetto si racconta il primo incontro con Laura. L’io poetico racconta che durante una celebrazione sacra il suo cuore è stato colpito dai dardi di Amore.

Era il giorno ch’al sol si scoloraro
per la pietà del suo factore i rai,
quando i’ fui preso, et non me ne guardai,
ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro.

Tempo non mi parea da far riparo5
contra colpi d’Amor: però m’andai
secur, senza sospetto; onde i miei guai
nel commune dolor s’incominciaro.

Trovommi Amor del tutto disarmato
et aperta la via per gli occhi al core,10
che di lagrime son fatti uscio et varco:

però, al mio parer, non li fu honore
ferir me de saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur l’arco.

PARAFRASI
Era il Venerdì Santo (giorno in cui si ricorda la passione e la morte di Gesù) durante il quale i raggi del sole si oscurarono (le scritture dicono che quando morì Cristo si fece buio su tutta la terra) per la compassione nei confronti del loro Creatore; quel giorno io fui conquistato dall’amore, e non pensai a difendermi, perché i tuoi begli occhi, Laura, mi conquistarono.
(Poiché era un giorno di lutto e meditazione religiosa) non mi sembrava necessario difendermi dalle insidie di Amore; perciò ero fiducioso e senza timori; ma proprio in quel momento i miei guai ebbero inizio, i miei lamenti ebbero inizio in mezzo al dolore generale per la Passione di Cristo.
Amore mi colse del tutto disarmato, e trovò libero il varco per entrare nel mio cuore attraverso gli occhi, che ora sono diventati sorgente e luogo di passaggio delle mie lacrime.
Ritengo però che Amore non fu corretto nei miei confronti, il suo comportamento non gli fa onore, perché ha voluto colpire con la freccia me, che ero inerme; inoltre Amore non ha neppure mostrato l’arco a voi, Laura, che eravate ben difesa (dalla virtù e dalla castità).
FORMA sonetto
SCHEMA delle rime ABBA ABBA CDE DCE

Commento

Era il giorno ch’al sol si scoloraro è il terzo componimento del Canzoniere. Fa ancora parte dei testi introduttivi dell’opera che hanno lo scopo di inquadrarne e strutturarne il contenuto. Questa lirica ricorda il giorno dell’innamoramento di Francesco.

L’episodio è ambientato è il 6 aprile 1327. Ma il 6 aprile 1327 era un lunedì e non un venerdì. Petrarca modifica quindi l’elemento biografico per conferire alle date e ai numeri valore simbolico. Il poeta sceglie di far coincidere la data del suo innamoramento con l’anniversario della morte di Cristo. Questa concomitanza rappresenta quindi un presagio negativo su questo amore. Questo amore è quindi incorniciato tra due giorni di lutto, il 6 aprile 1327, giorno della Passione di Cristo, e il 6 aprile 1348, giorno della morte di Laura stessa.

L’amore per Petrarca è fonte di angoscia e Laura è quindi l’anello di congiunzione tra sacro e profano, un punto in cui le tensioni del poeta diventano dissidio e tormento.

L’amore tormentato del poeta riverbera sul dolore corale della comunità dei credenti. Queste due sofferenze sono in contrasto: alla sacralità della passione del Cristo si oppone un individuale dolore profano, una sofferenza privata. E questa situazione segna negativamente dunque questa storia d’amore che è marchiata con il marchio del peccato.

Si comincia così a definire quel dissidio inconciliabile fra la sua passione per Laura e l’amore per Dio, dissidio di cui il poeta soffrirà per tutto il corso della vita.

In questo sonetto per descrivere l’innamoramento il poeta utilizza immagini di guerra e di prigionia: gli occhi incatenano l’io, Amore sferra colpi con i suoi tradizionali attributi, l’arco e le frecce. E in questa situazione l’io poetico è disarmato. L’innamorato si lamenta: la guerra condotta da Amore è sleale, perché attacca l’avversario sprovveduto e inerme, mentre lascia Laura indenne.

In questo sonetto Petrarca si ricollega alle forme poetiche del passato:

  • al concetto d’amore stilnovistico quando dichiara che l’amore ha trovato la via del cuore attraverso gli occhi al cuore. «…li occhi in prima generan l’amore / e lo core li dà nutricamento», Jacopo da Lentini; «Voi che per li occhi mi passaste il core», Guido Cavalcanti; anche nel «Tanto gentile e tanto onesta pare» … la donna trasmette dolcezza attraverso gli occhi al cuore
  • per la tenzone d’amore della lirica cortese si ricollega a Dante. Al verso 7 troviamo che l’io poetico era “senza sospetto”, Paolo e Francesca, nel canto 5, al verso 129 dell’Inferno dichiarano che «soli eravamo e senza alcun sospetto».

Il lessico scelto dal poeta è puro e selezionatissimo.

Forma

Il sonetto è diviso in due parti:

  • nelle quartine troviamo la collocazione temporale della vicenda,
  • nelle terzine viene messa in evidenza la condizione dell’io lirico e della donna, entrambi inconsapevoli collocati in posizioni diverse: lui è bersaglio di Amore, lei è strumento di Amore.

Figure retoriche

  • Troviamo due enjambement tra il verso 5 e il verso 6 e tra il verso 6 e il verso 7.
  • Sono presenti alcune metafore che fanno riferimento al campo semantico della battaglia: “mi legaro” al verso 4, “colpi d’Amor” al verso 6 e “disarmato… armata” ai versi 9 e 14.
  • Il concetto di amore viene personificato, ai versi 6 e 9.
  • Ai versi 1 e 2 troviamo una perifrasi “il giorno ch’al sol si scoloraro… i rai”. Il poeta si riferisce al venerdì Santo, giorno in cui si ricorda la passione e la morte di Cristo; le scritture dicono che quando morì Cristo si fece buio su tutta la terra.
  • Al verso 7 troviamo l’allitterazione della s secur, senza sospetto…”.
  • Al verso 11 troviamo una endiadi, figura retorica molto utilizzata da Petrarca, “uscio et varco”.
  • Ai versi 13 e 14 troviamo un’antitesi “ferir me… non mostrar pur l’arco”.

Domande sul sonetto “Era ‘l giorno ch’al sol …”

  1. Nel testo è presente un tema costante in Petrarca: la contrapposizione tra la collettività e l’io del poeta. Come è costruito il parallelismo tra il dolore comune e quello individuale?
  2. Analizza la metafora guerresca presente nel componimento: quali termini la definiscono? Qual è la condizione di Petrarca di fronte alla possibile aggressione di Amore?
  3. In che modo è possibile stabilire una continuità narrativa con il sonetto Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono? Quali sono gli elementi comuni tra i due componimenti?

T 6 – Solo et pensoso i più deserti campi

Video lettura solo e pensoso

Video spiegazione Solo e pensoso

Solo e pensoso è la poesia in cui manifesta in maniera evidente il dissidio interiore.

Solo et pensoso i piú deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:

sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sí aspre vie né sí selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co’llui.

Parafrasi

Cammino solo e pensieroso percorrendo a passi lenti e lenti i campi più isolati, deserti e sono molto attento ad evitare (fuggire) tracce sul terreno che rivelino il passaggio di altri uomini.
Non trovo altro riparo per proteggermi dal fatto che la gente comprende (il mio stato interiore), perché nel mio atteggiamento triste e privo di allegria, è evidente a tutti quanto io, dentro, stia bruciando (d’amore);
credo (che questo sia così evidente) tanto che (sono certo) ormai che sia i monti e le pianure, sia i fiumi che i boschi sappiano di che tenore sia la mia vita (sappiano cosa sento) anche se cerco di nascondere agli altri (ciò che provo).
Ma tuttavia, per quanto io cerchi vie così impervie e solitarie, non riesco a trovare luoghi in cui Amore non mi raggiunga e non venga sempre a parlare con me, ed io con lui. FORMA sonetto
METRO schema delle rime ABBA ABBA CDE CDE

Commento

I protagonisti del Canzoniere sono gli effetti che l’amore per Laura producono nell’animo del poeta.

L’amore che caratterizza questo sonetto è un amore tormentato, che investe sia l’anima che il corpo. L’amore è inteso come traviamento, deviazione, da cui il poeta vuole liberarsi. La natura tormentata di questo amore è evidente in questo sonetto.

La retorica che il poeta utilizza è quella tipica degli opposti: utilizza quindi le antitesi proprio per esprimere la natura opposta del sentimento e l’effetto che esso ha sul suo animo. Il gioco degli opposti è evidente in particolare nell’antitesi del v.8 (“di fuor si legge com’io dentro avampi”), dove l’effetto del sentimento amoroso è giocato tra il fuori, che rivela il sentimento, e l’interiorità del poeta, che arde nella passione dell’amore.

Nella poesia il poeta a passi tardi et lenti sta cercando di scappare, cerca la solitudine per non diventare oggetto del pettegolezzo. Qui è evidente che il sentimento amoroso viene vissuto come traviamento dell’animo, come tormento; per questo è naturale conseguenza la fuga, non solo dalla gente, ma anche dal sentimento amoroso stesso.

La conflittualità e il dissidio interiore si riflettono sull’uso delle antitesi ma la sua ricerca di equilibrio lo portano a creare un ritmo fluido e musicale e a creare una sintassi simmetrica. La ricerca della solitudine costringe il poeta a vagare nella natura, un paesaggio deserto e segnato solo da pochi riferimenti indeterminati, che diventa parte integrante dell’Io lirico e manifestazione del suo tormento.

La solitudine però non si realizza, poiché l’Io del poeta viene affiancato dall’onnipresente Amore, un amore tirannico che è personificato come in tutta l’opera, “venga sempre ragionando con meco”.

Figure retoriche

  • Il sonetto si apre con un verso nel quale della è presente l’allitterazione della sillaba “so” con maggior forza sulla “s”; altre allitterazioni possono essere considerate i gruppi consonantici “mp” o “nt”. Si noti che prevalgono i suoni vocalici aperti sulle parole rima delle quartine.
  • L’endiadi è una figura retorica molto frequente nei sonetti del Petrarca. Il poeta esprime un concetto attraverso l’uso si due sostantivi o di due aggettivi di significato simile. Al verso 2 troviamo “a passi tardi et lenti”.
  • Il chiasmo al verso 9 “monti et piagge” e 10 “fiumi et selve”.
  • L’antitesi dei versi 7-8: “atti di allegrezza spenti/di fuor si legge com’io dentro avampi“.
  • Petrarca utilizza due metafore, una al verso 2 “vo mesurando” e una al verso 8 “com’io dentro avampi” che si connota come la metafora tradizionale legata all’innamoramento.
  • Ai versi 9 e 10 troviamo un polisindeto monti et piagge/et fiumi et selve sappian di che tempre
  • L’inversione sintattica chiamata anastrofe si trova ai versi 12-13: “Ma pur sì aspre vie né sì selvagge/cercar non so”.
  • Come spesso accade nei sonetti di Petrarca il concetto di amore viene personificato. Ai versi 13-14 la personificazione di Amore “ch’Amor non venga sempre/ragionando con meco, et io co llui”.

T 7 – Erano i capei d’oro a l’aura sparsi

Video lettura Erano i capei

Video spiegazione sonetto Erani i capei

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;

e ’l viso di pietosi color’ farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?

Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma; e le parole
sonavan altro che, pur voce umana;

uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i’ vidi: e se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.

Parafrasi

I biondi capelli di Laura erano sparsi al vento, all’aria, all’aura.
Petrarca ama giocare col nome della sua amata. Il vento avvolgeva i suoi capelli e li annodava dolcemente.
I suoi meravigliosi occhi erano luminosi, splendenti, ardenti, quegli stessi occhi che ora sono più spenti; è passato molto tempo, Laura non ha più la bellezza sfolgorante della giovinezza.

Mi sembrava che il suo viso assumesse un’espressione di benevolenza nei miei confronti.
Non so però se questa fosse la realtà o se fosse invece solo una mia illusione. Io infatti avevo nel cuore la predisposizione ad amare, per questo mi infiammai subito, ma cosa c’è di strano se io mi innamorai subito di lei? Se io subito arsi d’amore?

Il suo modo di camminare non era quello di un corpo mortale, ma di un angelo, e anche la sua voce aveva un suono diverso, non sembrava neppure la voce delle creature umane.

Quello che vidi io fu una creatura del cielo, una luce, un sole vivente.
La conclusione è un canto all’amore umano che dura nel tempo: se anche oggi Laura non è più così bella questo non cambia nulla perché, se anche la freccia (che fa innamorare) viene scagliata da un arco che ha la corda ormai allentata, la sua ferita rimane e non guarisce.
È come se Laura facesse innamorare Francesco ogni giorno, ogni giorno …

Commento

Il componimento numero 90 è probabilmente il più noto sonetto del Petrarca. Vi compare il celebre senhal, il gioco che prevede il nascondimento del nome, ponendo invece un’allusione del nome della donna amata (l’aura per Laura), un procedimento frequentissimo.

Non manca il tema stilnovistico della donna angelo, una creatura sovrannaturale e miracolosa. È però evidente la distanza fra l’impiego di questo motivo da parte di Dante e la rielaborazione petrarchesca. Innanzitutto, mentre l’apparizione angelica si impone allo stilnovista con certezza immediata e oggettiva, per Petrarca è proiettata nel passato, in un tempo remoto e imprecisato che sopravvive soltanto in un ricordo dai contorni sfumati. La Laura-dea che era splendida al momento dell’incontro adesso è invecchiata, come brevemente ricordano gli ultimi due versi. Si manifesta quindi il tema del trascorrere inesorabile del tempo e quello della caducità delle cose terrene.

Per Petrarca, pertanto, la natura angelica della donna è collocata in una pura dimensione soggettiva, di sensazione e di “impressione”, e anzi persino l’innamoramento è presentato come dettato da una condizione psicologica del poeta (vv. 7-8, i’ che l’esca amorosa al petto avea, / qual meraviglia se di subito arsi?).

Inoltre emerge la sensazione dell’incertezza in alcune espressioni: non so se vero o falso, mi parea, se non fosse or tale.

Forma

Anche in questo sonetto troviamo una solida struttura simmetrica fra quartine e terzine che gli conferisce una rigorosa architettura: erano (v. 1), or (v. 4) nelle quartine si oppone a non era (v. 9), non fosse or (v. 13) nelle terzine.

Il lessico è selezionato e tradizionale, quasi stereotipato: i nodi dei capelli sono dolci, il lume degli occhi è vago, gli occhi stessi sono belli.

Le metafore sono standard: i capelli biondi sono d’oro e per amore il poeta arse.

I tempi verbali oscillano tra presente e passato: Petrarca usa l’imperfetto del ricordo – Il viso di Laura sembrava mostrare pietà per le sofferenze dell’amante – il passato remoto esprime la condizione dell’io lirico e il presente è il tempo dello sfiorire della bellezza, ma anche del perdurare dell’amore.

Quello che salda i due momenti è il cuore del poeta, ferito un giorno dalla freccia d’amore ma che conserva l’immagine della bellezza di Laura.

Figure retoriche

  • Sono presenti diverse metafore tipiche del tema amoroso: v. 1: “d’oro”; v. 3: “ardea”; v. 7: “esca amorosa”; v. 8: “arsi”.
  • Frequenti le anastrofi: v. 1: “a l’aura sparsi”; vv. 5-6: “farsi/ non so se vero o falso, mi parea”; v. 9: “non era l’andar suo”.
  • Troviamo un’iperbole al v. 2: “mille dolci nodi gli avolgea”.
  • Al verso 12 il chiasmo di tipo sintattico “uno spirto celeste, un vivo sole”;
  • Al verso 8 troviamo una domanda retorica “qual meraviglia se di subito arsi?”.
  • L’antitesi dei vv. 9-10: “Non era l’andar suo cosa mortale, ma d’angelica forma” ci riporta al tema stilnovistico.
  • Anche in questo sonetto troviamo l’enumerazione per polisindeto: vv. 1-5: “i capei… e ‘l vago lume… e ‘l viso”.

Domande

Il tema del tempo è quello che più distanzia il sonetto dallo spirito stilnovista; metti a confronto i verbi coniugati al passato con i pochi coniugati al presente: qual è il valore di questi ultimi e a cosa sono riferiti?

Ritrova le due metafore della condizione d’amore presenti nel componimento: quale abbiamo già incontrato e in quale poesia del Petrarca?

T 8 – O cameretta che già fosti un porto

O cameretta che già fosti un porto
a le gravi tempeste mie diürne,
fonte se’ or di lagrime nocturne,
che ’l dí celate per vergogna porto.

O letticciuol che requie eri et conforto
in tanti affanni, di che dogliose urne
ti bagna Amor, con quelle mani eburne,
solo ver ’me crudeli a sí gran torto!

Né pur il mio secreto e ’l mio riposo
fuggo, ma piú me stesso e ’l mio pensero,
che, seguendol, talor levommi a volo;

e ’l vulgo a me nemico et odïoso
(chi ’l pensò mai?) per mio refugio chero:
tal paura ò di ritrovarmi solo.

O mia piccola camera che un tempo sei stata il il rifugio alle mie angosce quotidiane, ora sei diventata il luogo nel quale ogni notte verso le mie lacrime, lacrime che di giorno tengo nascoste al mondo perché me ne vergogno.

O mio piccolo letto che un tempo eri il luogo del mio riposo e del conforto della mia anima, che mi confortavi nei miei doloroso affanni, (tu letto) sei bagnato dalle lacrime che Amore riversa su di te, lacrime che Amore versa con le sue mani bianche come l’avorio, lacrime che sono ingiustamente crudeli solo nei miei confronti.

E io ora non  fuggo soltanto dal mio segreto e dal mio riposo, ma io fuggo da me stesso e dal mio stesso pensiero, quel pensiero che mi ha permesso di volare quando io ho avuto l’ardire di seguirlo; e io sono nella condizione di cercare nella folla, che temo e disprezzo, il rifugio di cui ho bisogno dal momento che ho tanta paura di ritrovarmi da solo (ma chi avrebbe mai pensato che ciò potesse accadere?)

Comprensione

Questo sonetto descrive la disperazione del poeta innamorato.

Prima di cadere nelle braccia di Amore, lui trovava conforto e ristoro nella sua cameretta, nella quale poteva dedicarsi alle sue passioni letterarie.

Ma ora, innamorato, teme la solitudine, ha paura di rimanere solo; di notte viene spesso scosso dai singhiozzi e le lacrime bagnano le sue coltri. Per questo si ritrova a volersi confondere tra la folla, una folla fatta di sconosciuti pur di non stare solo.

Anche in questa lirica Amore è gelido e crudele, con le sue mani gelide, bianche e rigide come l’avorio. Petrarca ci mostra queste mani nell’atto di versare le sue lacrime.

Per il poeta è doloroso restare tra la folla, ma è l’unica via che lui trova per riuscire a reggere la sua angoscia.

Figure retoriche

Apostrofe – v.1 – O cameretta; v. 5 – O letticciuol;

Metafora v. 1 – già fosti un porto; v.6 – dogliose urne;

Personificazione v. 7 – Amor.

T 9 – Benedetto sia ’l giorno, e ’l mese, e l’anno,

Benedetto sia ’l giorno, e ’l mese, e l’anno,
e la stagione, e ’l tempo, e l’ora, e ’l punto,
e ’l bel paese, e ’l loco ov’io fui giunto
da’ duo begli occhi che legato m’hanno;

e benedetto il primo dolce affanno
ch’i’ebbi ad esser con Amor congiunto,
e l’arco, e le saette ond’i’ fui punto,
e le piaghe che ’nfin al cor mi vanno.

Benedette le voci tante ch’io
chiamando il nome de mia donna ho sparte,
e i sospiri, e le lagrime, e ’l desio;

e benedette sian tutte le carte
ov’io fama l’acquisto, e ’l pensier mio,
ch’è sol di lei, sì ch’altra non v’ha parte

Sia benedetto il giorno, il mese e l’anno,
e la stagione, il tempo, le ore e l’attimo,
e il bel paese, il luogo in cui sono stato condotto
dai due splendidi occhi che mi hanno avvinto a loro; sia benedetto il primo dolce sospiro, affanno
che ho provato quando mi sono innamorato, e siano benedetti anche l’arco e le frecce dalle quale fui colpito, oltre alle ferite che vanno dritte al cuore.

Siano benedette le voci che ho pronunciato e
sparso nel mondo chiamando la mia donna, e siano benedetti i sospiri, le lacrime e il desiderio d’amore; siano anche benedette tutte tutte le poesie che mi procurano fama, e anche il mio pensiero che va sempre e soltanto verso la mia donna.

La prima strofa è dedicata al racconto della nascita dell’amore per Laura; benedice il luogo e il tempo in cui il suo sguardo agganciò quello di Laura. Il poeta non fa riferimenti precisi di luogo e tempo in quanto l’amore fa vivere il poeta in un’atmosfera di sogno. Petrarca si innamora di Laura al primo sguardo.

Nella seconda parte descrive gli effetti di questo amore. Nelle due terzine il poeta rivela che questo amore lo fa soffrire; lo definisce come un “dolce” affanno. Ma il poeta sembra anche godere quasi di questa sua sofferenza, tanto che benedice tutti i sentimenti provati per Laura, nella gioia ma anche nella sofferenza.

Laura è l’unica donna che riempie i suoi pensieri e il suo cuore. Questa esperienza di amore oltre che caratterizzare la vita del poeta nutre tutta la sua poesia.

Figure retoriche

  • Climax ascendente: “Benedetto sia ‘l giorno, et ‘l mese, et l’anno” (v. 1) – elenco da elementi breve a lungo, in progressione.
  • Climax discendente: “et la stagione, e ‘l tempo, et l’ora, e ‘l punto” (v. 2) – in progressione discendente.
  • Polisindeto: v.1-3, v.11, presenza delle congiunzioni “et” ed “e” che separano le parole in elenco.
  • Metafora: “occhi che legato m’ànno” il verbo legare è usato con significato di conquistare, sedurre; “le piaghe che ‘nfin al cor mi vanno” ‘il dolore della ferita d’amore arriva fino al cuore.
  • Anastrofe: “che legato m’ànno” (v. 4) invece di che mi hanno legato; Ov’io fama l’acquisto” (v. 13).
  • Ossimoro: “dolce affanno” (v. 5).
  • Personificazione: “con Amor congiunto” (v. 6). l’amore è rappresentato come Cupido, che ferisce con le sue frecce.
  • Anafora = “Benedetto … ” (v.1, 4, 9, 12).
  • Perifrasi = “mia donna” (v. 10) Laura.
  • Enjambement = vv. 5-6; 9-10; 12-13.

Commento

Solo chi ha conosciuto l’innamoramento può comprendere questa poesia.

Quando ci si innamora tutto ruota intorno all’amore e la mente fissa particolari che in altri momenti sembrano ininfluenti. Petrarca innamorato benedice tutto quello che ricorda di quel giorno straordinario in cui Amore lo ha colpito. Quell’amore lo ha travolto tanto che lui ne ha anche sofferto.

Quello che ha vissuto il poeta è universale, è capitato e capita ancora oggi ad ogni innamorato. E per ogni nuovo amore importante, l’inizio si fissa, come indelebile e il suo ricordo può restare nel tempo.

T 10 – Movesi il vecchierel canuto et biancho

Movesi il vecchierel canuto et biancho
del dolce loco ov’à sua età fornita
et da la famigliuola sbigottita
che vede il caro padre venir manco;

indi trahendo poi l’antiquo fianco
per l’extreme giornate di sua vita,
quanto piú pò, col buon voler s’aita,
rotto dagli anni, et dal camino stanco;

et viene a Roma, seguendo ’l desio,
per mirar la sembianza di colui
ch’ancor lassú nel ciel vedere spera:

cosí, lasso, talor vo cerchand’io,
donna, quanto è possibile, in altrui
la disïata vostra forma vera.

Il vecchietto canuto, con i capelli bianche a causa dell’età, si separa, cioè parte dal suo tranquillo paese dove è nato e vissuto, quel villaggio che lo ha nutrito per tutta la vita parte e lascia la sua famiglia, che è commossa nel vedere il padre partire; da quel luogo, il paesello, trascinando con fatica il suo vecchio corpo, “l’antiquo fianco” vive le ultime giornate della sua vita e si fa coraggio quanto riesce con la sua buona volontà, nonostante sia sfiancato dagli acciacchi dell’età e affaticato dal lungo cammino percorso; ù

il veccherello arriva così a Roma, seguendo il suo desiderio di vedere l’immagine di Cristo, quell’immagine che spera di poter vedere di nuovo in cielo, dopo la morte (“ancor”):

come il vecchietto, allo stesso modo, anche il poeta, a volte, si ritrova ad essersi sfinito alla ricerca nelle altre donne dell’immagine in carne e ossa. di Laura.

Figure retoriche

Similitudine – Il sonetto è costituito da un’unica similitudine, spiegata solo al v. 12; qui la figura del poeta va a sostiture quella del «vecchierel».

Chiasmo v. 8 – rotto dagli anni, et dal camino stanco.

Domande su Petrarca

  1. Chi è Francesco Petrarca?
  2. Per quali motivi Petrarca può essere considerato un precursore dell’Umanesimo?
  3. Per quali motivi può essere considerato il primo intellettuale moderno?
  4. Quali sono le cause del suo eterno dissidio? In quale modo il poeta riesce a superare tale dissidio?
  5. Quali sono le principali tematiche presenti nel Canzoniere?
  6. Come evolve nel Canzoniere la figura di Laura? Quali effetti suscita nel poeta la sua morte?
  7. Quali sono le differenze tra Dante e Petrarca?
  8. Qual è la struttura del Canzoniere di Petrarca?

Schema delle opere

Fonti

  • http://www.roberto-crosio.net/DIDATTICA_IN_RETE/SECRETUM_MAPPA.pdf
  • Prose. A cura de G. Martellotti e di P.G. Ricci, E. Carrara, E. Bianchi
    M. Carlà, A. Sgroi, Letteratura in contesto, Palumbo editore.
  • Monica Magri, Valerio Vittorini, Tre, Storia e testi della letteratura, Paravia Pearson
  • www.fareletteratura.it
  • www.treccani.it
  • www.wikipedia.org